Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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sera, a che ora siete uscito di qui?»

      «Saranno state le dieci… Forse prima…»

      «La portinaia non vi ha veduto uscire…»

      «Ma non può dire neppure di avermi veduto uscire più tardi,» proclamò l’altro con accento di trionfo.

      «Infatti! Ma dopo mezzanotte il portone è chiuso.»

      «Come fa a dire che sono uscito dopo mezzanotte?»

      «C’è chi vi ha veduto.»

      «Ne è proprio sicuro?» Chiese Giacomo, scetticamente.

      De Vincenzi giocava tutto per tutto. O riusciva a fargli confessare subito o sapeva troppo bene che quell’uomo non avrebbe mai più confessato.

      «Tra poco sarà qui colui che vi ha visto,» disse con sicurezza. «E vi riconoscerà.»

      «Sarò lieto di guardarlo bene in faccia… Questo colui!»

      Si vedeva che il cameriere era ben lontano dal sentirsi perduto. Ad ogni modo doveva essersi trovato altre volte in casi simili, perché aveva una sicurezza troppo tranquilla.

      «Lo guarderete in faccia alle sedici.»

      Giacomo si voltò verso la pendola:

      «Bah! Ancora un quarto d’ora.»

      La pendola segnava le sedici e tre quarti e De Vincenzi afferrò l’uomo per un braccio:

      «Quella pendola segna le sedici e tre quarti…»

      «Ho visto!» fece Giacomo. «Ma quella lì è avanti di un’ora!»

      «Come lo sapete?»

      L’uomo questa volta apparve sorpreso.

      «Eh?» fece, per guadagnar tempo.

      «Dico,» ripeté, battendo le sillabe il commissario «dico: come sapete che quella pendola va avanti di un’ora?»

      L’interrogato esitò un secondo, ma un secondo solo.

      «È guasta… Dovevo portarla ad accomodare…»

      Con voce stanca, Aurigi intervenne:

      «Non è vero, Giacomo. Quella pendola andava benissimo. È sempre andata benissimo.»

      Giacomo sussultò e si volse verso il padrone, con un gesto di collera:

      «Anche lei, adesso! Sarà andata bene, ma oggi va male…»

      Poi dovette avere un’idea, perché gli occhi gli si illuminarono e ritrovò la propria sicurezza.

      «Del resto,» disse, rivolgendosi al commissario «poco fa è stato proprio lei a far notare davanti a me che quella pendola segnava un’ora di più.»

      Era vero. De Vincenzi ricordava.

      «Già! E va avanti, perché voi, ieri sera, l’avete mossa.»

      «Io? E perché lo avrei fatto?»

      «Perché lo abbiate fatto ve lo dirò tra poco. È stata una sottile invenzione, che mi ha dato subito la misura della vostra intelligenza, una intelligenza da malfattore veramente notevole! Ma comunque, questo non è un fatto straordinario. Il fatto straordinario è un altro. Che voi non abbiate pensato a rimetterla a posto, dopo aver assassinato il banchiere Garlini e quando, prima di fuggire, avete messa la rivoltella omicida in quel cassetto, chiudendolo a chiave e portandovi via la chiave, assieme alla rivoltella del vostro padrone.»

      Il cameriere lo aveva ascoltato, senza che il sorriso scomparisse dalle labbra.

      «Ma che sta dicendo! La sua fantasia corre! Se tutto questo fosse possibile provarlo!…»

      Infatti, De Vincenzi lo sapeva benissimo, lui stava lavorando di fantasia e anche questa volta non aveva una sola prova. Certo il suo intuito gli diceva che toccava il punto giusto; ma come dimostrarlo? Quello lì non avrebbe mai confessato!

      Si mise a camminare per la stanza, a passi rapidi, nervosamente. Ad un tratto si fermò di nuovo in faccia a Giacomo.

      «Un errore il vostro! Tutto calcolato, tutto congegnato a meraviglia e per una dimenticanza tutto all’aria! Se aveste rimesso a segno le sfere di quella pendola, io non avrei potuto sospettare di voi!»

      «E invece… adesso?» chiese insolentemente l’altro.

      «Adesso, so chi è stato ad uccidere Garlini!»

      «Fantasia! Ho un alibi. Lo può controllare. E poi… Perché lo avrei ucciso?… Lo conoscevo appena…»

      «E il suo denaro?»

      «Quale? Crede che si uccida un uomo per derubarlo e che poi gli si lascino in tasca cinquecento lire?»

      A quelle parole il conte, che aveva sempre taciuto, assistendo a quella scena con ansia contenuta, diede un balzo e fece qualche passo verso il cameriere.

      Anche Aurigi sussultò.

      Ma De Vincenzi li trattenne con un gesto e prevenne ogni loro domanda.

      «Come fate a sapere,» chiese, fissando l’uomo negli occhi «che Garlini aveva cinquecento lire nel portafogli?»

      Giacomo ebbe un attimo di smarrimento. Ma, quando gli altri si aspettavano che tacesse o che si afferrasse a qualche frase vaga, scoppiò in un breve riso. Trasse di tasca un giornale, lo spiegò e lo mise aperto sul tavolo.

      «Legga lì dentro…» disse con calma. «Legga lì dentro e vedrà come tutti possono sapere che sul cadavere è stato trovato un portafogli da frak contenente cinquecento lire ed alcuni biglietti di visita.»

      De Vincenzi, ebbe un atto di dispetto. Il conte stringendo i pugni, ritornò sul divano.

      Giannetto si era lasciato ricadere, di nuovo preso dalla sua apatìa tragica.

      E Maria Giovanna, che non aveva nulla ascoltato e nulla veduto, continuò a pensare alla rovina del suo cuore e della sua vita, e a quel suo povero Remigio, ch’ella amava…

      R

      Quell’uomo si sapeva difendere!

      Ma il dispetto scomparve rapidamente dal volto di De Vincenzi. Troppo abile! S’era tradito.

      «Quando avete letto quel giornale?» chiese il commissario, riprendendo l’interrogatorio.

      «Stamane…»

      «Qui, in casa, giornali non ce n’erano. Procurarvelo mentre eravate di là, adesso, non avete potuto. Quindi lo avevate con voi e lo avete letto prima di venir qui! È così.»

      Il cameriere non capiva. Chiese naturalmente:

      «E se fosse così?»

      «Oh! Nulla!» disse il commissario con un breve sorriso. «Ma precisiamo: voi ammettete di aver letto quel giornale prima di entrar qui dentro, due ore fa?»

      «Ma sì. L’ho detto. E non vedo che importanza abbia…»

      «E allora, perché avete finto di non saper nulla, quando vi ho interrogato? Perché siete entrato in questa casa, come se nulla vi fosse accaduto? Perché avete giocato l’indifferenza dell’uomo, che non sa e che ha la coscienza tranquilla?»

      Le domande s’inseguirono rapide e martellanti.

      Giacomo era evidentemente colpito. Tacque. Si guardò attorno, come una bestia presa al laccio. I suoi occhi mandarono fiamme.

      E per l’ultima volta, in quel giorno così pieno di avvenimenti drammatici, il trillante, innocente, inconsapevole campanello della porta d’entrata squillò a lungo.

      Come le altre volte, tutti sussultarono.

      De


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