Il re del mare. Emilio Salgari

Il re del mare - Emilio Salgari


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uscì dal quadro e salì sul ponte, mentre il meticcio metteva in esecuzione l’ordine ricevuto, senza che il malese avesse osato ribellarsi.

      5. Le confessioni del pilota

      La Marianna aveva superata la zona incendiata e navigava in quel momento fra due rive verdeggianti, dove i durion, gli alberi della canfora, i gluga, i sagu, i banani dalle foglie mostruose e le splendide arenghe intrecciavano i loro rami e le loro fronde. Un fiumicello che si riversava nel Kabatuan, aveva impedito al fuoco di estendersi verso l’alto corso, sicchè quelle boscaglie erano state risparmiate.

      Una calma assoluta regnava sulle rive, almeno in quel momento. I dayaki non dovevano essersi spinti fino là, perchè si vedevano numerosi uccelli acquatici bagnarsi tranquillamente, segno evidente che si tenevano perfettamente sicuri.

      Ed infatti le grosse pelargopsis, dall’enorme becco rosso come il corallo, nuotavano lungo le canne, pescando le belle alcede attraversavano il fiume salutando il veliero con un lungo fischio e all’estremità degli alberi, che spingevano i loro rami sulle acque, i ploceus pispigliavano, dondolandosi entro i loro nidi in forma di borsa, mentre sui banchi sonnecchiavano non pochi coccodrilli lunghi cinque o sei metri, coi dorsi rugosi incrostati d’un fitto strato di fango.

      – Ecco quelli che s’incaricheranno di sciogliere la lingua a quell’ostinato malese, – mormorò Yanez, che aveva fissati gli sguardi sui formidabili rettili. – Che bell’occasione! Sambigliong!

      Il mastro fu pronto ad accorrere alla chiamata.

      – Fa’ gettare un ancorotto.

      – Ci fermiamo, capitano Yanez?

      – Oh, per pochi minuti solamente e accosta uno di quei banchi più che puoi.

      – Volete pescare qualche coccodrillo?

      – Vedrai: prepara intanto una solida fune.

      Il pilota comparve in quel momento in coperta, colle mani legate dietro al dorso, spinto innanzi dal meticcio che non faceva economia di urti e di minacce.

      Il disgraziato era in preda ad un terrore profondo, eppure non pareva ancora disposto a confessare.

      – Sambigliong, – disse Yanez, quando l’ancorotto fu calato. – Getta un po’ di carne salata a quei mostri, tanto da stuzzicare un po’ il loro appetito.

      La Marianna si era fermata a breve distanza da un banco melmoso, su cui stavano radunati cinque o sei gaviali, fra cui uno mancante della coda, perduta di certo in qualche combattimento.

      Si scaldavano al sole, sonnecchiando tranquillamente e anche vedendo accostarsi il veliero non si erano mossi, essendo per loro natura poco diffidenti.

      – Destatevi boyo! – gridò Sambigliong, gettando verso il banco alcuni enormi pezzi di carne salata.

      I gaviali, vedendo cadere quella manna, si erano alzati, poi vi si erano scagliati sopra disputandoseli ferocemente. In un momento non si vide che un ammasso di scaglie e di code poderosamente agitate che picchiavano in tutte le direzioni, poi, messi in appetito da quei pochi bocconi si spinsero verso l’orlo del banco, alzando le loro ampie mascelle, armate di lunghi denti, verso la Marianna, in attesa d’un’altra distribuzione.

      – Signor Yanez, – disse Sambigliong, – aspettano qualche cosa di meglio quegli insaziabili ghiottoni.

      – Daremo loro un uomo, – rispose il portoghese, guardando il pilota che fissava cogli occhi smarriti le gole spalancate dei mostri, come se avesse compreso che quell’uomo era lui.

      – Signore, – balbettò, accostandosi a Yanez.

      – Taci! – gli rispose questi seccamente.

      – Che cosa volete fare di me?

      – Lo saprai presto. A te, Sambigliong.

      Il mastro annodò attorno ai fianchi del disgraziato malese una solida corda, poi alzandolo bruscamente fra le poderose braccia, lo gettò fuori dal bordo prima che avesse pensato ad opporre qualsiasi resistenza.

      Padada aveva mandato un urlo terribile, credendo di cadere fra le mascelle di quei formidabili rettili, invece rimase sospeso fra l’acqua ed il bordo.

      I gaviali, vedendo quella preda umana, con un balzo si erano precipitati in acqua, nuotando velocemente verso la Marianna.

      Il pilota, pazzo dal terrore, si dibatteva disperatamente girando e rigirando su se stesso e mandando urla strozzate. Un’angoscia indescrivibile traspariva dai suoi lineamenti spaventosamente alterati.

      – Aiuto! Aiuto! Grazia! Salvatemi… – gridava, facendo sforzi supremi per spezzare le corde che gli legavano le mani.

      Yanez, in piedi sul capo di banda, aggrappato alla grisella di babordo del trinchetto, lo guardava impassibilmente, mentre i gaviali tentavano di afferrare la preda, slanciandosi più che mezzi fuori dell’acqua, con poderosi colpi di coda.

      – Se Padada non muore di spavento è un vero miracolo, – disse Tangusa.

      – Hanno la pelle dura i malesi, – rispose Yanez. – Lasciamolo gridare un po’.

      Il povero uomo gridava a squarciagola, peggio d’una scimmia rossa, urlando sempre: – Aiuto! grazia! Mi raggiungono… grazia, signore!

      Yanez fece cenno a Sambigliong di ritirare un po’ la fune, essendo un gaviale riuscito a toccare coll’estremità del muso la preda, poi, volgendosi verso il pilota che continuava a dibattersi, raggrizzando più che poteva le gambe:

      – Vuoi che ti lasci cadere nelle gole dei boyo o che ti faccia issare? La tua vita sta in mano tua.

      – No… signore… issatemi… mi toccano… non posso più.

      – Parlerai?

      – Sì, parlerò… vi dirò tutto… tutto…

      – Giuralo su Vairang kidul, giacchè è la protettrice dei cacciatori di nidi di salangane.

      – Lo giuro… signore…

      – Ti avverto prima che, se quando ti avremo tirato su, ti rifiuterai di confessarmi ogni cosa, ti getterò senz’altro fra le mascelle del più grosso gaviale.

      – Non ne ho alcun desiderio e…

      – Continua, – disse Yanez.

      – Quando avrò tutto confessato non mi ucciderete egualmente?

      – Non so che cosa farne della tua pelle. Rimarrai prigioniero fino al nostro ritorno, poi andrai a farti appiccare dove vorrai. Seguimi nel quadro e anche tu, Tangusa.

      Il malese a cui non pareva ancora vero di trovarsi vivo e che batteva i denti pel terrore, che non gli era completamente passato, seguì, senza farsi pregare, il portoghese ed il meticcio.

      – Ed ora ascoltiamo la tua interessante confessione, – disse Yanez, sdraiandosi su un divanetto e riaccendendo la sigaretta che aveva lasciata spegnere, per meglio assistere ai salti dei gaviali ed ai contorcimenti del pilota. – Bada che tu hai giurato e che io non sono uomo da lasciarmi giocare, nè prendere a gabbo.

      – Vi dirò tutto, padrone.

      – Dunque sono stati i dayaki a mandarti incontro alla Marianna.

      – Non posso negarlo, – rispose il malese.

      – È stato il pellegrino.

      – No, signore; io non ho mai parlato con quell’uomo.

      – Chi è?

      – Ma… sarebbe un po’ difficile a dirlo, nè saprei dirvi da dove sia piombato costui. È giunto qui alcune settimane or sono, con molte casse piene d’armi e ben fornito di denaro, di ghinee e di fiorini olandesi.

      – Solo?

      – Lo credo.

      – E che cosa ha fatto poi?

      – Si è presentato ai capi tribù, i quali lo ricevettero con deferenza, avendo in testa il turbante verde dei pellegrini che hanno visitato il sepolcro del Profeta. Che cosa


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