Fame usurpate. Vittorio Imbriani
vuol gustar musica si richiede orecchio. Le Belle Arti, esse, invece, mi presentano le forme esterne, sotto le quali indovino una coscienza. Indarno lo scrittore sgobba per distinguere e determinare con parole i più minuti particolari od accidenti di forma e di colore: più s'affacchina, più l'oggetto sfugge. La vita del fantasma poetico non istà in un occhio piuttosto azzurro che nero, in un braccio più o men bianco, in questa o quella linea.
Avea riccia la chioma e colorata
Come la buccia di castagna alpina
Molti fior di giardino avrian voluto
Paragonarsi coll'aerea tinta
Che azzurreggiava nella sua pupilla:
Ma ciò che forse le venia più presso
Era il lin che fiorisce o il ciel di sera.
Misericordia! eccoci alla più ridicola materialità, al passaporto in versi: capelli castagni e ricci; occhi cilestri. Eppoi questi occhi non ci guardano, non ci splendono, non ci ridono; sono vuoti di sentimento, due immobili macchie azzurregianti, sulla cui gradazione un tintore ragiona (l'Alfieri direbbe dissertaziona) in guisa da fare andare in solluchero l'autore del Dialogo sui colori che si danno alle sete. È Maria Luisa, Porcellana, Isabella, Minerva, Turchino del Re, Turchino Ghimè, Turchino della Regina, Turchino màmmola, Turchino di cobalto, Azzurro o Lapislazzuli? Sarà forse Celeste blù, Blù Raimond, Blù porcellana. Blù Isabella, Blù Maria Luisa, Blù Napoleone? O non piuttosto Aria, Celeste cielo, Latticino, Celeste chiaro, Celestino, Celeste Laudon, Celeste cupo o Celeste Lumiera?
[pg!72] — «O come aveva a fare» — sclama l'Aleardi con l'accento indispettito dello scolare, che nell'esame non giunge a soddisfare con alcuna risposta i pedagoghi, — «come avevo a fare, per dipingere la mia Caterina Cavalieri di Monte? Me lo insegna Lei?» —
— Perchè no, caro? Lo insegnare agl'ignoranti è opera di misericordia. O se a quel nome dolcissimo di Caterina si congiungesse daddovero in mente vostra una immagine, di tutta la lunga descrizione avreste scritto que' soli versi:
... da ch'ella era nata...
... Mai sovra il paterno
Camperello la grandine non cadde
Nè al (cacofonia) mandorlo imprudente arse la brina
I frutti; nè verun maggior dolore
Osò varcarne la vegliata soglia.
Versi, che mi ricordano questi altri nell'Ardelia d'Olympo degli Alessandri da Sassoferrato, il quale, parlando d'una bella donna, scrive:
— «E contra lei non giova dura sorte,
Che vince il ciel con sue piacevolezze...
La donna e 'l ciel e 'l mar governa e muove
L'aer la terra e l'universo clima;
Et son sopra natura le sue prove.» —
Similmente il Maresciallo di Francia, Biagio di Monteluco, scrive di Andrea Doria; — «parca che il mare ne ridottasse e quindi non si dovea scontentarlo od irritarlo senza grande occasione.» — Similmente il cavalier Marino:
Di tai chimere vo' che tu ti rida,
Ancor che d'empio ciel raggio ti tocchi:
Qual sì cruda sarà stella omicida
Che rigor non deponga ai tuoi begli occhi?
Quanta gentilezza in questa fanciulla dell'Aleardi, che ne impone alle stesse inesorabili leggi di natura, al fato stesso, il quale le risparmia il dolore debito ad ogni carne umana! Deh come può essere, che chi inciampa siffatte bellezze, non le comprenda, non ne [pg!73] abbia coscienza; e trovi requie solo quando ne ha distrutto l'effetto con mille aggiunte stolte? — «Vojaltri dilettanti» — scriveva presso a poco il Mozart a non so che barone, il quale gli avea mandate alcune composizioni: — «o non avete pensieri propri e rubate gli altrui; o ne avete e non sapete cavarne partito.» —
Simili baleni di poesia s'incontrano veramente nell'Aleardi; ma pur troppo son baleni fugacissimi, che fanno meglio avvertire la tenebria circostante, come gli spiragli nel sotterraneo di Montezuma, a detta d'Antonio de Solis, permitian solamente la (luz) que bastava, para que se viesse la obscuridad. È uffizio, è gioia, è dovere del critico richiamar sempre l'attenzione su queste belle parti; e specialmente poi quando in uno scrittore sono rare, mi sembra più che dovere, carità fiorita. Quanto è viva la nobil-donna ungherese, frustata dagli sgherri austriaci!
.... La gentil ribelle
Sentì infamarsi le patrizie terga
Dal vitupero dell'austriaca verga,
E odiò la vita. E, dato
L'ultimo bacio a le atterrite ancelle,
Sotto la pietra del sepolcro ascose
Le membra vergognose.
T'impietosisci e parteggi per quella infelice ribelle, benchè il senno ti dica la legge dover essere sempre obbedita e la ribellione punita e soppressa a qualunque costo ed in tutti i modi, e che i governi costituiti hanno autorità suprema ed assoluta in chi sorge a combatterli. Quant'è sentito quel dire con enfasi, affermando Roma esser nostra, solo nostra:
Se cosa alcuna di straniero è in essa,
Sono il pianto e le ceneri de' servi,
Ch'ivi traemmo dalla vinta terra.
Spiove, l'atmosfera si rasserena:
Scuote i fogliami, che gli fero ombrello,
L'augelletto e giocondo vola via:
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Manda il ramo una stilla, e par che pianga
Dell'ospite cantor la dipartita.
Questo si chiama animar la natura, e l'immagine non sarebbe mai venuta in capo, a chi non avesse provato lo strazio di crudeli addii. — «È precetto d'Aristotile» — diceva un retore egregio del seicento — che quelle sono le ottime traslazioni, le quali cat'enérgian sono appellate; cioè, quando le cose inanimate s'inducono ad operare, come se fussero animate; quale, per esempio, è quella di Omero, che attribuisce il desiderio alla saetta di Panduro, dicendo, che ella desiderasse di volare fra gl'inimici; e quell'altra, che dice delle onde, cyrtà phalerióonta, cioè gobbe e che s'imbiancavano o incanutivano. Di questa sorta di traslazioni così parla Quintiliano: Praecipueque ex iis oritur mira sublimitas, quae audaciae proxima periculo translationis attolitur, cum rebus sensu carentibus actuni quandam et animos damus. Qualis est: pontem indignatus Araxes; et illa Ciceronis: Quid enim tuus ille districtus in acie Pharsalica gladius agebat? cuius latus ille mucro petebat? qui sensus erat armorum tuorum.» — Eccone un altro esempio Aleardesco: gli austriaci hanno innalzato la forca sugli spaldi mantovani per appiccarvi un patriota:
.... In mezzo a un campo
Scellerato, spingea le immonde braccia
Un patibolo al ciel, quasi pregasse
D'essere fulminato.
Un letteratuolo, premiato nello scorso secolo dall'Accademia francese, ha scritto: Les dieux ont un Olympe et nous une patrie. Nell'Aleardi, il poeta assunto a' cieli, li percorre, se ne inebbria, dipinge la terra come un meschino granello di sabbia e poscia con poca logica, ma con infinita poesia sclama:
Oh! potess'io, poscia che avrò veduto
Sì addentro l'universo, un'ora sola