Fame usurpate. Vittorio Imbriani

Fame usurpate - Vittorio Imbriani


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amore, non può disprezzarsi da chicchessia ragionevolmente.

       Indice

      — «Ma, chi scrive, bisogna pur che dica qualcosa; e gli ha da essere un impiccio indiavolato quando manca sentimento e concetto!» —

      — Gnornò. Anzi, stimala per la cosa del mondo più comoda: si scarabocchia carta e carta senza fatica, senza palpiti, senza patemi, senza sciuparsi, [pg!54] come amavano la Veneranda ed il Taddeo dell'Amor pacifico. Grazie a' tanti secoli di vita che l'uman genere conta, grazie alla lunga esplicazione letteraria della mente Italiana, v'è una sterminata quantità di formolato a disposizione delle fantasie sterili: espressioni consacrate, immagini proverbiali, concetti volgari, luoghi comuni, parole e pensieri che furono forse un tempo roba poetica e sentita, ormai ridotta dall'uso a mere cifre, a segni convenzionali, come quelle monetacce, che circolando a lungo pèrdono l'impronta del conio. — «La lingua verseggia per lui,» — diceva il Goethe a proposito de' componimenti dilettanteschi d'un Re bavaro. In somma delle somme, v'ha il mare inesauribile del rettorico (faccio per non nominarlo); di ciò che alcuni in Economia Politica addimandano ricchezza comune e gratuita, e che appunto perchè gratuita e comune, mal si spaccia per ricchezza nella scienza sociale e mal si battezzerebbe poesia nell'Arte. Ci è il sol di luglio del proverbio; e molti se ne fan belli, e molti il vendono, e molti dabbenuomini il comprano a caro prezzo, come cosa di valore e rara. All'oceano del rettorico, del formolato, attinge, senz'ombra di scrupolo, copiosamente Aleardo Aleardi: ne' suoi canti non ravvisi la manifestazione immaginosa di concetti sentiti, anzi un sèguito di formole, de' lunghi polinomî di cosiddette imagini poetiche. Ed il lettore ne riman commosso suppergiù come lo spettatore da una pergamena istoriata di rebeschi o da un papiro coperto di geroglifici.

      Quindi non vien freddato un tanghero nelle sue battaglie, del quale non si deplori la solita madre o l'immancabile sposa che ne aspettano il ritorno conteso in eterno! Se una fanciulletta od una contessucola sparenta, consoliamoci, anzi rallegriamoci: le sono ite ad acculattar qualche panca in cielo alla destra di dio padre onnipotente ed intercedono per nojaltri! Se accade una mischia, ecco subito i singhiozzi obbligati delle mamme e delle sorelline! I sepolti, ci s'intende, aspettano vendetta ed invocano [pg!55] l'ira del nume sul carnefice! I mondi danzano. (Ho l'imbarazzo della scelta fra mille esempli di questa immagine più vecchia del brodetto. Antonio Muscettola, nella canzone a don Giuseppe de' Medici, Prencipe di Ottaiano, in cui narra come danzando con la sua donna, da molti diamanti, ch'ella avea nelle dita, gli fu in gran parte scemato il diletto, scrive:

       Stanco il mondo godea

       Tranquille piume in fra gli orror segreti:

       E scintillanti e belle

       Tessean lucidi balli in ciel le stelle).

      La natura inneggia al creatore. I firmamenti sono una tenda. La terra è un granel di polvere, chi la guardi dal cielo. (Vedi, per restringermi ad una citazione, la parlata d'Amore, in fine del quint'atto dello Endimone del Guidi:

       E la terra, che appare immensa mole,

       Dall'uno all'altro polo

       Sarà, sott'un tuo sguardo, un punto solo.)

      I vespri tuonano come quegli arcangeli, de' quali nessuno ha udito la musica mai. Il Byron ha lasciato l'ossa ad Albione ed i poemi al mondo. (Di simili divisioni della eredità degli uomini grandi o spacciati per tali, potrei addurne centomila esempli. Mi basti rammentare la iscrizione sulla tomba del cardinal Parisio in Santa Maria degli Angeli a Roma ed il sonetto in morte di Torquato Tasso, che leggesi nelle Tre Grazie del seicentista Antonio Bruni da Manduria:

       Morto il gran Tasso, anzi avvivato in dio

       Quei, che già riportò fra' cigni il vanto;

       Tra la Fama e la Terra e 'l Ciel s'udio

       Bella gara d'onor fra 'l lutto e 'l pianto.

       Il Ciel diceva: «Il gran Torquato è mio,

       Poi ch'apprese da me celeste il canto».

       Dicea la Terra: «A me si dee, perch'io

       Di me stessa gli ordii caduco il manto».

      [pg!56]

       Ma soggiunse la Fama: «Anzi, a me sola

       Dèssi il cantor che vinse il dio di Delo,

       Perchè in Pindo per me chiaro sen vola».

       Indi Febo parlò da un aureo velo:

       «La Fama il nome, or che all'obblio s'invola,

       S'abbia; il corpo la Terra; e l'alma il Cielo».)

      Quel destriero barbaro, di cui già Orazio, scalpita nei canti dell'Aleardi per mille millesime volte sulle tombe Italiane:

       Barbarus heu! cineres insistet victor et urbem

       Eques sonante verberabit ungula;

      eccetera, eccetera. Non vi si cansa un platealità demagogica o rivoluzionaria. Beninteso, che l'eminente statista, il quale in Austria si chiamava Clemente-Vincislao-Nepomuceno-Lotario Principe di Metternich e nel Reame delle Due-Sicilie, Duca di Portella vien gratificato dall'epiteto di assassino, e l'Austria riceve il predicato perfida, eccetera eccetera. Insomma ad ogni personaggio, ad ogni stato è conservato l'aggettivo in uso presso i politicanti da caffè ed i gazzettieri di trivio: l'Aleardi potrà servire di repertorio, quando una più giusta cognizione ed estimazione della storia li avrà fatti dimenticare agli avvenire. La Polonia cos'è? La terra di Giovanni Sobieschi, ben inteso, abbandonata dalla ingratitudine di questa Europa, che essa salvò dalla barbarie musulmana.... (Vedi i compendî di Storia ad uso delle scuole; tutti gli articoli di fondo scombiccherati da' politicanti sentimentali sulla Polonia; e tutte le insulse filastrocche verseggiate su di essa da' poetonzoli Italiani, cominciando da Giuseppe Ricciardi e terminando a Pasquale Turiello, o s'altri v'ha più da meno, miseri stemperatori delle tumide parole dello Châteaubriand nella biografia del Rancé: Sobieski entra dans Vienne par la bréche qu'avait ouverte le canon des Turcs. Les Polonais sauvèrent l'Europe, qui laisse exterminer aujourd'hui la Pologne. L'histoire n'est pas plus reconnaissante que les hommes; goffi parafrasatori [pg!57] delle belle strofe del Poerio per l'arrivo in Sicilia dello autocrate Niccolò).

      Che dirò delle reminiscenze mitologiche, pagane e cristiane, eccletica e rettoricamente adoperate; delle personificazioni, che ti agghiacciono ad ogni piè sospinto? Bacco piange sulla crittogama; l'insidioso Satana vola largamente con l'ale sul tenebroso tetto del Quirinale; le anime vengono assunte al glorioso bacio del Cristo; e via discorrendo. Non crediate già che il merito d'una battaglia trionfata spetti a' nostri prodi! Ohibò!

       ..... Il derisore

       Dio de le fughe visita le file

       Degli stranieri e il core.

      La convenzione di Vilagos ed il preteso tradimento sono bell'e spiegati col matrimonio di Arturo Görgey.

      — «Che forse amoreggiava con la figliuola del conte Rüdiger?» —

      — Nossignore, anzi.....

       ..... l'infamia..... su lo aborrito

       Campo di Ieno a lui pose nel dito

       Il suo vipereo anello nuziale.

      Chieggo a voi che avete combattuto, o come mi rappresentereste un combattimento, una vittoria? M'immagino che porreste in luce un tratto caratteristico, il quale lasciasse indovinare il tumulto, le


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