Fame usurpate. Vittorio Imbriani

Fame usurpate - Vittorio Imbriani


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è sepolta,

       Ma non è morta. Un popolo non muore;

      affermando cosa che ogni alunno di ginnasio dovrebbe saper falsa, chè di popoli ne son morti tanti tanti; e come poi quest'Itala Musa si mettesse a baciucchiar lui, che da quel giorno ha sempre cantato.... non dice però se da basso, tenore, baritono o soprano.

      Maledetta! debbo di nuovo chiedere scusa al leggitore per una facezia di cattivo gusto! Ma lo scherno s'impone a chi si vede imbandir prosuntuosamente queste... via, scavizzoliamo una parola blanda: questo pasticciotto insulso. Non basta il più saldo proposito di rimaner serio, quando si leggono ridicolaggini. L'Aleardi non s'abbandona ingenuamente alle reminiscenze giovanili, cheh! non racconta alla buona fatti accaduti o possibili; le sue invenzioni stravaganti e pretensiose debbono voler dire qualcosa; e noi abbiamo il diritto di appurare che significhino tante bizzarrie? che simboleggia quella visione? perchè invece di entrare nel caffè a dare un'occhiatina alle gazzette, scappa ad evocare una monella uccisa [pg!46] dal damo? eccetera. Ahimè, tutto ciò non significa, non dice nulla nulla; è un pretesto per descrivere gl'inverni irlandesi, una personificazione battezzata dea Vittoria, e che so io! un puro pretesto per isciorinare cognizioni di nomenclatura botanica e versi e versi e versi, ed informarci ch'egli è l'enfant chéri des dames, che fa girare il capo alle signore, ma che soprattutto la Musa travede per lui:

       Mesto crebbe e virile il nostro amore;

       E di te indarno ingelosir le belle

       Creature, che un dì mi seminâro

       Di vipere e di fior la primavera

       Della mia vita; e stettero per anni

       Del mio riso signore e del mio pianto.

      Che malora sia l'Itala Musa, non so troppo, io. Forse il nostro casto verseggiatore avrà davvero incontrato ed abbracciato in sul far bruzzo qualcuna vestita tricolore; ma cosa fosse quest'una, il dirò con una parola, quantunque m'abbiano a leggere occhi più sicuramente pudichi de' suoi.... Eppure, no; meglio una perifrasi.... E nemmanco di questa c'è bisogno: ci siamo intesi.

      Nelle Prime Storie il poetino suppone gl'Italiani immemori e svergognati, visto ch'e' ne ha mendicato invano un po' d'attenzione: quindi cerca consolazione tornando alla Musa e vuol cantare, non però dei vieti e vuoti numi d'Olimpo: altri tempi! La Grecia non favoleggia più, anzi compie grandi gesta (si vede!) e noi com'essa abbiamo per Ippocrene la patria. Speriamo e cantiamo. La Musa, comincia a cantare; e per iscegliere un tema palpitante d'attualità, parafrasa il Genesi, ciarla delle repubblichette Italiane, delle crociate, della scoperta delle Americhe, eccetera. E quanti popoli furono indarno! La civiltà segue il corso del sole: ma prima dell'egemonia americana, e non si sa perchè, dovrà sorgere e tramontare un nuovo periodo egemonico Italiano. Sfido io a pescare un concetto in questo guazzabuglio, in questo cibreo di volgarità e d'amenità. L'autore [pg!47] voleva rifare poeticamente la storia universale? Dunque, bisognava cavarne una somma, identificarla in personaggi ne' quali il pensiero filosofico diventasse vita, dando alle grette scrupolosità d'esattezza, bando alle inimmaginose nomenclature. Già, se vi limitate a riversificarmi per la millesima volta le storielle della mitologia biblica, non filosoferete, nè poeterete. Invece, infondendo nuovo contenuto al mito, potrete produrre splendide creazioni, come l'Inno ai Patriarchi di Giacomo Leopardi; o per iscegliere un esempio che non sembri all'Aleardi una caricatura, come Il Prigioniero di Francesco De-Sanctis, che senza dubbio è il non plus ultra di quanto può fare chi non è nato poeta.

      Che serve esaminare ad uno ad uno questi titoli d'una pretesa infondata? Quando l'Aleardi accusa l'Itala Musa d'esserglisi prostituita, è un calunniatore; e basta dimostrar falsa una parte del suo racconto, uno de' documenti presentati, perchè ragionevolmente non sia più da credergli in nulla. Due sole parole sul Canto politico in morte della Contessa Marianna Giusti, nata Marchesa Saibante, dedicato Al Venturo Pontefice, perchè le ingiuste contumelie e facili e senza pericolo e codarde quindi e plebee, contro la canizie veneranda del pontefice vivente mi cagionano un tal disgusto, che avrei preferito passare senza ragionarne. Qui era balenato all'Autore un gran concetto. Egli chiede alla morta: — «Perchè morire? ora che riacquistiamo una patria! esser cittadina d'un gran popolo, non è meglio forse, che diventare abitatrice del cielo?» — Quanta profondità in questo ingenuo pensiero! come esprime acconciamente le idee moderne dell'uman genere adulto, che pago della sua sfera, conscio del suo significato, rinunzia volontariamente ad ogni speranza oltremondana! l'uomo si sente dappiù del santo, del dio, parti del suo spirito; la vita con le sue vicissitudini vien anteposta alla beatitudine immobile. Somiglia il concetto del Prometeo del Goethe, che in quel frammento del francofortese rimane troppo astratto e filosofico, [pg!48] non si anima in tutto, non acquista vita piena e salda. Ebbene, di questo gran concetto che inciampava, messer Aleardo Aleardi non s'è nemmeno accorto! anzi giunge a tale eccesso di platealità da mandare la sua morte in cielo a pregare per l'Italia, come farebbe ogni scolaretto, come si legge su tutte le lapidi, come han fatto millantamila altri imbrattacarte prima di lui; eccetera, eccetera.

       Indice

      Bastino codesti esempli: quando esaminassi tutti i canti, dovrei perennemente ripetermi. Vi è però, giustizia vuole ch'io 'l confessi, una maniera di componimenti, nella quale Aleardo Aleardi riesce egregio, poichè vi si può fare ammeno di concetto e di sentimento, vi basta un'emozioncella momentanea, un pensiero isolato. Intendo parlare di quelle, che volgarmente si chiamano poesie d'occasione; che i francesi denominano fuggitive; ch'egli addimanda, con un epiteto abbastanza incongruo, volanti; e che suppergiù corrispondono agli Epigrammi degli antichi.

      Ho già notate alcune gentili strofuzze per una Maria Wagner; e non tacerò delle stanze per le venete, che mandano all'emigrazione i loro vezzi. Le misere hanno sentito

       ..... come un lamento

       Di nota voce languida per fame,

       Che vereconda dimandasse a stento

       La carità d'un obolo di rame.

      Ed in questi versi e' s'avverte qualcosa di strascinato, che s'attaglia stupendamente al pensiero espresso e fa sentire la languidezza ed il ritegno col quale la voce chiede; ma perchè obolo di rame? tanto vale un obolo di rame quanto un obolo di argento, come tanto pesa un chilogramma di ferro, quanto un chilogramma di penne. Le Venete hanno udito; e commosse pregano un barcaiuolo di recare que' pochi giojelli [pg!49] scampati alla rapina tedesca sull'altra riva del fiume: Riva gioconda e pur riva d'esilio; e di rammentare agli esuli che Venezia aspetta. Convien far la tara a queste esagerazioni: se le Venete ci avessero mandate tutte le gemme, tutta l'oreficeria loro, gli emigrati sarebber divenuti tanti signoroni; ma, preso con discrezione, il pensiero è semplice e vero, e nelle poche quartine e' ci ha momenti indovinati e riboccanti di poesia. Esempligrazia, quando parla del

       ..... cor degli stranieri,

       Bersaglio eterno all'Itale vendette,

      l'Aleardi dice meglio e più sull'odio fra la razza germanica e la schiatta latina, esprime vieppiù robusta e vivacemente l'astio accumulato dalle sofferenze, che non faccia con prolisse filastrocche nel Canto politico, ne' Sette Soldati ed altrove. Nondimeno anche qui non mancano dissonanze. Le Venete han la parola:

       A noi meschine, in questi dì supremi

       Fra la speme e lo spasimo ondeggianti,

       Non si confanno anelli o dïademi,

       Perle non si confanno o dïamanti.

      strofa tollerabile, quantunque la smania dell'antitesi e del parallelismo vi giunga fino al bisticcio: speme e spasimo, diademi e diamanti, scherzi aliterativi, artifiziucoli, che la passione traboccante e sincera


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