Fame usurpate. Vittorio Imbriani
dal poeta impossessandosi della nostra fantasia con immagini che ci sforzino a sentire come lui. Chi non impreca con l'Allighieri alla crudeltà di Pisa contro la famiglia del conte Ugolino? chi non accetta, nel leggerlo, il giudizio che Dante fa de' contemporanei e de' passati? e non dura fatica poi a rettificarlo in modo conforme alla verità storica, tanto è il fascino di quella poesia? onde il Settembrini ha in somma parte ragione scrivendo che: — «il giudizio che si fa di queste anime, a ciascuna delle quali si assegna il suo stato è il gran giudizio fatto da dio nella coscienza dell'uomo libero ragionante; è il giudizio che si aspettava nel Mille e non venne ed ora è fatto....» — Ma l'Aleardi non avendo saputo trascinarci con le immagini sue, rimane un declamatore esautorato.
Vorrei finirla su questo capitolo; ma mi accorgo d'una conseguenza della fatuità poetica; sulla quale m'incombe il dovere di richiamar l'attenzione delle signore Italiane. Badate, care dilette, a non annaspare nessun amoretto con chi pizzica del poeta, senz'averci prima pensato bene. Non è cosa da farsi alla cieca: al primo bisticcio sarebbe capace di mandarvi a casa l'intera penisola, sana sana, acciò rendiate conto delle vostre bizze:
.... Oh sconsigliata
L'Itala donna cui fu dato in sorte
Stringersi al petto un'amorosa testa
Nata agli allori, che la cinge invece
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Di domestiche spine! A lei di contro
La penisola sorga, e le domandi
Terribil conto del perchè la inerte
Stella non manda lume....
Avete inteso? Pare che non avesse tanto torto quell'amico di Gian Cristiano Kestner, che gli scriveva, quando il Goethe con leggerezza inescusabile lo ebbe posto alla berlina insieme con la moglie nei Patimenti del giovane Werther: — «Salvo il rispetto dovuto all'amico vostro, ma gli è pericoloso d'avere un autore per amico.» — Per me, fossi femmina ed avessi letto que' versi, e poi l'Aleardi mi richiedesse di amore, non lo promuoverei mai da patito a drudo. E poichè mi trovo maschio, quantunque non la pretenda a poeta, prevedendo il caso in cui mi venga in sèguito un simile ghiribizzo, chieggo il permesso di dichiarar qui solennemente e dichiaro: che in ogni mio futuro dissidio con qualsivoglia Italiana non sarà mai chiamata ad immischiarsi la penisola, intendendo io rinunziare e rinunziando esplicitamente ad invocarne l'intervento. Ce la vedremo a tu per tu, da solo a sola. E consiglio le mie care compatriote di fare scrivere e sottoscrivere una dichiarazione identica a tutti gli adoratori loro presenti ed avvenire, che, registrata e bollata, si depositerà presso pubblico notaio. Sia quest'atto una formalità indispensabile (sennò, no) per chiunque vuol rendersi loro aggiudicatario, come la cauzione provvisoria per chiunque concorre ad un pubblico appalto.
Ma riconosciuto, pure, che la fatuità sia il più spiccato sentimento dell'Aleardi poeta, non sarà certo il solo, neh? Giulio Cesare venne accusato d'esser un bell'imbusto, anzi un finocchio: nè siffatte colpe il rimpicciolivano. O se questo fosse il caso d'un Giulio Cesare della poesia? La fatuità, la vanità si condona volentieri al merito. Quali sono le altre parti dell'animo di lui? quali sono i concetti nei quali ha dato opera ad incarnarle?
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IV.
Aleardo Aleardi ha scombiccherati parecchi componimenti in cui parla della madre e d'Italia e di libertà e d'amore e di religione: cose tutte le quali sono state e saranno in eterno fonte ricchissima di vera poesia. Ad un patto però: che siano sentite, che divengano passione, che si concretino in fantasmi autonomi. Sono poesia nelle loro manifestazioni, non già nella loro astrattezza. Spieghiamoci con un paragone: i paragoni, se non provano, rischiarano; ed in casi molti, rischiarare val quanto provare.
Nelle due pagine autobiografiche preposte ai suoi Canti il nostro autore vi dice: Ho considerato la poesia come la perla del pensiero: chè nasce anche ella da una febbre dell'animo, come la perla da un malessere della conchiglia: chè l'aceto della scurrilità e della malvagità la distrugge come l'aceto dissolve la perla. A dirla, io non so se l'aceto dissolva le perle, e mi ho annodato la cocca della pezzuola per ricordarmi di chiederne a Sebastiano De Luca la prima volta ch'io l'incontri; so bensì di certo, che la scurrilità è, quanto ogni altro, schietto e legittimo elemento di poesia: e se l'Aleardi non si trova in grado di comprenderlo, suo danno. Non sarebbe il solo; moltissimi, tutte le nature fiacche sono negate all'intelligenza delle categorie comiche. Ma lasciamo star ciò, ch'io non intendeva citare il paragone per biasimarlo, anzi per farlo mio. La perla si produce dalla secrezione sovrabbondante della materia che fodera la conchiglia, la quale, agglomerandosi in alcuni punti a mo' di bernoccolo, senza dubbio ingenera nell'ostrica un piacevol prurito; e tante volte l'ostrica ricopre di sostanza madreperlare qualche corpo estraneo, che gli dava noia con la sua forma irregolare, ma poi arrotondito dagli strati che gli si sovrappongono, non torna più d'incomodo. Se non che più l'escrescenza ed il corpo estraneo stanno e più divengono voluminosi; la protuberanza si stacca [pg!26] dal guscio e diventa una cosa per se, la pallottola ingigantisce, e dànno peso e dànno molestia all'animale, finchè questi non trovi modi di sbarazzarsene. Con simile appunto si ravvisa il processo poetico nella mente dello scrittore dalla percezione all'espressione. Il percepire avidamente l'objetto, (fatto, sentimento, eccetera) l'assumerlo in sè, l'appropriarselo, procaccia dapprima una piacevole impressione: l'è quel diletto che noi precisamente cerchiamo nella lettura od in teatro. Anche quando la percezione è tornata dolorosa o per la sua veemenza o per la sua natura, lavorandoci intorno con l'immaginazione, togliendone le asperità, finisce per essere ospite gradita della memoria. Poi, mano mano che procede la traduzione dell'objetto in immagine interna, e quanto più questa divien viva e potente, id est autonoma, s'ingenera e cresce un malessere nell'animo del poeta, cagionato dalla presenza del fantasma. Malessere del quale si guarisce incarnando esso fantasma in un lavoro, estrinsecandolo. La stessissima successione di momenti si percorre nella generazione fisica dal concepire allo sgravo. Più il pensiero diventa perfetto in sè, tutto immagine, cioè artistico, e più diventa estraneo allo scrittore, che quindi è angosciato dalla sua presenza, come donna negli ultimi mesi della gravidanza. Il fantasma s'impone allo scrittore, che non gli comanda, anzi il subisce. Molti anni dopo la pubblicazione delle Affinità Elettive, il Goethe leggendo il carteggio di Ferdinando Solger trovò una lettera su quel romanzo, la quale gli parve il meglio che se ne fosse scritto. Il Solger, riconoscendo che il fatto era il prodotto di tutti i caratteri, pur biasimava quello d'Eduardo: — «Non saprei volergliene» — disse il Goethe — «nemmanco io posso soffrirlo, benchè pieno di verità... Ma, mi piacesse o mi spiacesse, dovetti farlo a quel modo.» — Notatevi quel dovetti. Ecco perchè diceva che tutti quei santi e gentili affetti, i quali rendono caro un uomo nella vita empirica ordinaria, per mutarsi in poesia han bisogno prima di diventar passione, cioè di crescere [pg!27] in intensità, e poi di trasformarsi in fantasmi autonomi, cioè in immagini che abbiano in sè la ragion di loro vita e non siano mero prodotto dell'arbitrio di chi scrive.
Tanto la passione, quanto l'autonomia del fantasma, sono rese impossibili per Aleardo Aleardi dall'idiosincrasia che chiamammo fatuità poetica. Il fantasma non acquista mai effettività objettiva nella sua mente; l'affetto non diventa mai cosa seria pel suo cuore; anzi egli se ne fregia, come una civettuola di finte trecce e di nastri nell'acconciarsi. Egli non può mai profondarsi nell'objetto, poichè questo al postutto non ha importanza intrinseca agli occhi suoi, anzi è solo un mezzo per farlo figurare. L'amor patrio, l'amor filiale, l'amor divino e finalmente ciò che dicesi amore per eccellenza e per antonomasia, sono nel freddo animo e morto di lui piante esotiche, le quali non fioriscono mai come passione.
Aleardo Aleardi ne si protesta buon cristiano: s'adonterebbe se lo chiamassimo, come Lisandro chiamava Aristodemo nella prima e men cattiva tragedia del Monti:
..... Uomo
Non sottoposto all'opinar del volgo