Fame usurpate. Vittorio Imbriani
facoltà poetiche, la medesima immaginativa. Sia di creta, di bronzo o di oro la lampade, il valore della luce, che ne scaturisce, non cambia. Sia rosso o verde o bianco il vetro del cartoccio o della palla, non importa; importa, bensì, che l'intensità della luce valga ad illuminare e adombrare gli oggetti, nel microcosmo della stanza, per modo, che acquistino fisonomia. Ogni determinazione, che non è essenziale alla fantasia, non influisce sul valore poetico dello scrittore. Il sentimento del poeta, trasfuso nella cosa vagheggiata (impressione, riflessione, idea, fatto, eccetera,) ne trasfigura l'effettività in guisa, ch'essa implichi un cotal concetto dell'Universo, la cui special forma è indifferente, il cui pregio artistico dipende, da tutt'altre ragioni, che non è il merito intrinseco. E, nel mondo ideale, dove il caso, il fortuito sono sconosciuti, ogni parte implica il tutto, ogni individuo contiene la legge generica, più, ancora, che nel mondo effettivo. La rappresentazione d'un'onda può rendermi l'immensità de' mari. Gli adagi veneti m'insegnano, che do' done e un'oca fa un marcà e che tre femene e un pignato e 'l marcà ex fato. E, se una rondine non fa primavera nel proverbio, in quante poesie popolari è il contrario! Un uomo raffigura l'umanità; e nelle vicissitudini d'un amore si espongono le vicende dell'universo. In pittura, in iscultura, nella musica, è lo stesso.
Il poeta porta (o conscia od inconsciamente) un mondo, in sè: cioè, un sistema; cioè un concetto. Mondo, che, apparirà tanto più poeticamente perfetto, quanto più risponderà a tutte le peculiarità dell'animo suo, quanto più sarà subjettivo. Difatti, [pg!15] allora, esso poeta saprà infondere più vita e più caldo alle singole parti. Che s'egli, invece, non ha sentite e trovate, nel proprio petto, le leggi del suo mondo, questo mancherà di spontaneità e di originalità, potremo chiamarlo rettorico. Vi sorprende, neh, ch'io parli, così, avvezzi a sentir lodare gli antichi pel loro objettivismo poetico? Ma bisogna distinguere! Il concetto vuol essere subjettivo, specifico dell'artista; e la sua fantasia deve aver tanto vigore, da rappresentarglielo come piena e perfetta objettività.
Intendiamoci bene, però! Si tratta non d'un sistema o d'un concetto scientifico o filosofico, anzi di un concetto poetico. Poco monta, ch'e' sia falso, in sè, purchè bello; e, quando risponda, onninamente, al cuore del poeta, non potrà non rappresentarci un momento dello spirito dell'epoca; il modo di sentire sempre conforme a sè stesso (sibi constat) fa sì che egli in ogni immagine ti lascia sfolgorare dinanzi l'intero concetto, perchè ogni suo fantasma contiene l'universale. Quella unità, che la scienza dimostra, vien sentita dalla Poesia; e per questo Scienza e Poesia s'invadono a vicenda, come due larghe fiumane, che provengano da giogaje discostissime, ma scorrano vicine, e delle quali or l'una or l'altra straripando allaghi l'alveo della contigua. Di fatti: — «senza immaginazione non vi è nessuna specie di scienza; e chi non ha fantasia può a sua posta chiamarsi uno scienziato, ma in realtà non è che un'eco esterna, un pappagallo senza ragione; e noi, per non privarlo di un'illusione che gli procura un piacere, lo tratteremo a tutto pasto di naturalista, ma fra noi non possiamo dissimularci che egli non è che un copista, perchè non riconcepisce e non comprende la Natura. Comprendere è rifare il fatto, e ricreare il creato; fare o rifare, creare o ricreare, è sempre immaginare». — Dice il De Meis e dice benone; e quando mai no?
Or bene, qual'è l'idea logica del mondo poetico di Aleardo Aleardi? l'occhiale ch'egli adopera per [pg!16] guardare i fatti e le idee? il sentimento dominante sustrato del suo carattere poetico?
III.
Quel sentimento che nel mondo delle cose si chiama fatuità.
L 'Aleardi non giunge mai a percepire chiaro e spiccato il fantasma, ad infondergli autonomia, perchè tra 'l fantasma contemplato e lui contemplatore s'inframmette sempre un'altra immagine: quella della sua propria riverita persona. Non ci ricorda l'attore interamente assorbito dal personaggio, anzi il burattinajo che ti dimena sugli occhi de' fantoccini di legno, e quasi gli dolesse di dar campo all'illusione, caccia di tempo in tempo la propria zucca sul palcoscenico. Sembra preoccupato da paura che l'opera faccia dimenticare il poeta; e s'interrompe, al meglio, e si lascia cader la maschera per rettificare il vostro abbaglio, caso aveste supposto daddovero in iscena altri che lui. Siffatta relazione fra l'autore e le sue creazioni è giustificata nell'umoristico, quando lo scrittore intende appunto ad uccidere la poesia, riducendola a fantasmagoria col dimostrare la nullità intrinseca, la dipendenza del fantasma dal suo capriccio; ma dovunque è serietà diventa incompatibile. Pare che di ciò l'Aleardi non abbia sospetto: per lui, temi e concetti non sono qualcosa d'essenziale, anzi lo svariato scenario che il farà figurare, innanzi al quale ei potrà pavoneggiarsi ora in una, ora in altra veste. L'universo esiste soltanto per suscitargli un'emozione ch'egli esprime con più civetteria che poesia. Il Giusti scriveva ad un amico celiando: — «sa, che l'Io è come le mosche; più lo scacci, più ti ronza d'intorno, e per questo non ti maravigliare se io comincio dal mio signor me.» — L'Aleardi comincia e finisce da sè. E sì, pretende che l'ammiriate, com'egli si ammira; registra ogni suo moto, ogni gesto, ogni atteggiamento, quasi che importassero molto; ed esagera ed ostenta e vuol che [pg!17] guardiate attraverso una lente magnificativa tutte le miserie di una vita prosaica, d'un animo comune: tepidi amorazzi, peccadigli che non son delitti, le solite lacrimette, le solite orazioncelle. Questo per mostrarsi uomo di carattere, dopo detto Che l'angoscia profonda ha il suo pudor, dopo affermato di sdegnare l'indiscreto verso Che pubblica gli affetti intimi al volgo. L'effetto non può non essere comico. Scartabellando il suo volume sei indotto in tentazione di credere che nelle brigate le belle signore invitate da lui per la contraddanza gli rispondano: — «Tropp'onore, mio poeta;» — che scarrozzando col virginia in bocca alle Cascine, tremi per l'olimpia febbre de' carmi; e che pappandosi il mezzo sorbetto la sera, innanzi al Caffè d'Italia su' deschetti in via Santa-Trìnita, ad ogni cucchiaino rimastichi qualche acre reminiscenza del passato pianto.
L'idea, ridicolamente eccessiva, della sua importanza come poeta, si manifesta in modo presso che io non dissi scandaloso nelle dediche premesse ad ogni singolo componimento, dove la forma epigrafica le dà spicco e la scusanda del verso è svanita. Citerò qualche esempio caratteristico.
A. Te.
Nina. Sarego-Alighieri-Gozzadini.
Che. Comprendi. Più. Che. Non. Dico.
Il rivolgersi ad una donna, ad una giovane sposa, accennando in nube ad una secreta intelligenza, è una impertinenza tanto fatta, una incontrovertibil pruova di fatuità indelicata. Inoltre il poeta sembra alludere ad un senso profondo, remoto d'ogni sua parola, senso intelligibile soltanto a pochi eletti: ed oltre i miracoli espressi ne' versi, ci ha le mirabilia taciute, i portenti rimasti chiusi nell'animo di lui ed i quali non gli è dato manifestarci, senza dubbio perchè: — «quantunque v'ha di meglio nel cuore, non n'esce mai» — per dirla col Lamartine, ingegno della stessa tempra, ma di ben altre proporzioni. [pg!18] Bella frase! gentil pensiero! se non che l'ammetterlo per vero equivarrebbe ad una sentenza capitale contro la poesia. Il contrario è vero, come dice Ludovico Börne: — «In quella forma che ogni spirito trova la propria glorificazione in un corpo, anche ogni pensiero vede nella parola la sua perfezione». — Certo, qualche volta, si pruova una giusta renitenza a pubblicare od anche scrivere de' versi che rivelano alcune parti o piaghe segrete dell'animo nostro. Il Musset, parlando in una lettera confidenziale di certe stanze ad una suora della Carità che lo avea accudito, dice: — «I versi per suor Marcellina, io li finirò uno di questi giorni, l'anno prossimo, fra dieci anni, quando mi piacerà e se mi piacerà. Ma non li pubblicherò mai e non voglio neppure scriverli. È già troppo l'averteli recitati. Ho detto tante cose a' gonzi e ne dirò loro ancor tante, che ho pure il dritto, una volta in vita mia, di comporre qualche strofa per uso mio particolare. La mia ammirazione e la mia riconoscenza per quella santa ragazza non saran mai impiastricciate d'inchiostro da' rulli del torcoliere. Cosa fatta capo ha; non toccar più questo tasto. La Signora Di-Castries m'approva, asserendo: che giova aver nell'animo un cassetto segreto, purchè vi si nasconda solo roba salubre.» — Benone, ma non bisogna andar decantando il contenuto del ripostiglio occulto; nèd il Musset pretese mai d'essere ammirato per que' versi alla Marcellina che nessuno avea visti. Chi si vanta di ciò che non mostra, induce a credere di non aver che mostrare; appunto come uno che