Fame usurpate. Vittorio Imbriani
poco come Giovanni Berchet nelle Fantasie, quando sua mercè riviviamo a' tempi di Legnano, divenuti ne' suoi carmi più belli che non fossero nella torbida realtà. Ecco invece in qual guisa l'Aleardi si lusinga di pormi una vittoria sott'occhi, una vittoria del Bonaparte sull'Alvinczy;
Un giorno, immansueta e bella
Dea, la vittoria scese; e per quei poggi
Danzò la danza pirrica su metro
Repubblicano....
[pg!58] eccetera, eccetera. Veggo con la mente una sgualdrina scambiettare, non mica combattersi una mischia. Vien proprio voglia di esclamare, come i contadini bresciani, quando per la calura sorgono vapori da' campi acquitrinosi, ch'essi addimandano nidi della vecchia, di sclamare: Bala, pör vecia!... che gh'ho in cul el to balà!
Chiunque è avvezzo a non creare le immagini che adopera e ci è avvezzo per l'ottima ragione che non sente poeticamente; chiunque è avvezzo a servirsi del formolato: non potrà cansare, nel prendere delle res nullius, di por talvolta la mano anche su qualcosa che abbia un padrone, che non sia ancor divenuto patrimonio pubblico. E l'immagine od il pensiero accattato da uno scrittore, costituisce ciò che con blanda parola si addimanda reminiscenza e con altre più dure o meno ipocrite plagio o furto. Volere o non volere, alla mente senz'utero, inetta a fantasticare o favoleggiare con indipendenza, si affacciano que' pensieri forniti e forbiti, perfetti, potenti; e non avendo essa virtù di trasformarli specificamente, le s'impongono. Quindi niente meraviglia, se percorrendo il Nostro, l'orecchio è percosso ogni tanto da un'eco languida d'altri scrittori contemporanei, massime del Foscolo, del Manzoni, del Leopardi e de' franzesi Hugo e Lamartine. Anche su codesto capitolo io mi pregio d'essere frammanicone: nulla di più lecito che il riprendere l'opera d'altri. V'è del vero in quelle parole del Beroaldo di Verville: Ceux qui disent «j'ai vu ceci et cela autre part» sont des chetifs averlans. Quand on mange d'un chapon, est-ce le chapon qu'il y a plus de cent ans qui fut mangé et chié? In Arte l'appropriarsi l'altrui non è rubare. Ad un patto però: che tu faccia tuo quel che t'appropri, che e' imprima il tuo suggello, che vi scolpisca la tua marca, te, la tua personalità; che ne ricavi miglior partito dello inventore; che tu faccia come l'occupatore, l'usurpatore d'un terreno demaniale inculto ed insalubre, il quale il dissodi ed il bonifichi. Ingenerandosi ogni [pg!59] immagine da un'impressione, importa ben poco al fondo se questa prima impressione sia naturale affatto, oppure una immagine artistica anch'essa. — «Il mondo riman sempre il medesimo; le condizioni si ripetono; l'un popolo vive, ama e sente come l'altro; o perchè un poeta non dovrebbe favoleggiar come l'altro? Se le situazioni della vita sono simili, perchè pretendere dissimili le situazioni della poesia?» — Così diceva una volta il Goethe, chiaccherando su' motivi delle poesie popolari serbe, tradotte in tedesco dalla Talvj; mentre Federigo-Guglielmo Riemer e Giampietro Eckermann osservavano: avere il Goethe, aver essi stessi, adoperati parecchi di quei motivi senza saper di serbo. C'era stato incontro. Ma come li avevano esplicati? a modo loro, non alla serba. Ogni tema, ogni situazione, ogni personaggio, ogn'idea, ogn'immagine, ogni metafora vive in ogni letteratura una lunga enucleazione poetica; le differenti fantasie di molti poeti guardano quegli elementi diversamente, successivamente e li esplicano, enucleano, svolgono, sinchè se ne sia cavato il cavabile; anzi, queste manifestazioni successive procedono storica e logicamente l'una dall'altra: si presuppongono e s'implicano. Gustave Pianelle ha compilato un libro: Echi poetiche, in cui registra molte imitazioni di squarci latini fatti da classici francesi: ce ne ha, che sono trasformazioni, ce ne ha, che rimangono semplici copie. Negli Annali per le letterature romanze ed inglese, un tedesco stampava testè non so che saggio sulle imitazioni degli antichi nell'Ariosto; e per citarne una, l'episodio di Cloridano e Medoro è ispirato evidentemente dall'episodio di Eurialo e Niso: ma quanto diverso! Giampietro D'Alessandro pubblicò verso il M.DC.IV uno scritto sugli accatti analoghi del Tasso; non ho vista l'opera, ma il Mannerini la rivendica per cosa propria od almeno afferma di aver messo insieme un lavoro consimile, nella prefazione al Pastor costante. Quante immagini l'Allighieri non desume da Virgilio! diremo che il saccheggi? Le famose ottave [pg!60] di Torquato Tasso sulla rosa presuppongono quelle di Ludovico Ariosto, che non ci sarebbero senza le stanze d'Angiolo Poliziano, imitate dagli esametri di Catullo: ma il Poliziano non ruba Catullo; nè l'Ariosto il Poliziano; ned il Tasso l'Ariosto: hanno esplicato e trasformato il concetto, sempre. Invece, nel Cantore Sciaculi, l'Aleardi manomette il Bertrano dal Bornio di Ludovico Uhland; nel paragone che chiude le Lettere a Maria, ruba il Mazeppa di Vittor Hugo; qui la trasformazione, l'esplicazione ulteriore del concetto manca. Nel Triste Dramma, nelle Città Italiane, nell'È morta, nella Viola, nel Giuoco di Palla, eccetera, eccetera; ecco dovunque reminiscenze del Foscolo e del Leopardi. Evidentemente Aleardo Aleardi non è infetto della delicatezza morbosa che spingeva Alfredo di Musset ad avvertire in nota ai lettori come qualmente egli avesse accattata questa o quella metafora del tale o tal altro. Non ha la franchezza con cui il De-Iouy diceva nella prefazione ad una commedia: — «Un generale estero, noto pe' suoi fiaschi nella guerra d'America, il quale si consolava con trionfucoli teatrali a Londra delle batoste solenni buscate a Saratoga, il Bourgoyne, aveva già ideato di rappresentare una ereditiera circondata da proci avidi. Non avrei avuto scrupolo alcuno, il confesso, d'accattar da lui un motto arguto, un carattere nuovo, una scena od anche una situazione interessante, se ne avessi trovati nel suo lavoro: gl'imprestiti fatti agli stranieri non venner mai tenuti per plagi. Ma seguendo in ciò l'esempio dato spessissimo dagli autori inglesi, non li avrei imitati anche nel tacere gl'imprestiti da me fatti e nel disconoscere i miei debiti». — Insomma, per non uscir fuori della Italia, anzi per rimanere nel Veneto, lo Aleardi non ha l'ingenuità simpatica di Pietro Michieli, che dichiarava al lettore della sua Benda di Cupido: — «L'autore non ne ricerca lode, che di fatica; essendone la minor parte di sua inventione, e la maggiore trasportata da autori d'altre lingue. [pg!61] L'esser egli il maggiore nemico che possa haver l'otio è cagione di ciò: poichè, quando egli non si sente così pronta la vena poetica per comporre del proprio ingegno, s'ingegna almeno d'affaticarsi intorno alle compositioni da altri in altre lingue scritte, per non passare il corso della sua vita (per quanto può) in altro, che in attioni virtuose. In altri è stato stimato lodevole simile esercitio, e forse anco in lui non verrà biasimato. Tanto più, che avendo fino ad hora consignato alle stampe molti volumi di sua propria et assoluta inventione, da quelli si viene in cognitione, che non ha bisogno di mendicare dagli altri, essendo dovitioso nel proprio capriccio». — Ma del Nostro non abbiamo volumi di sua propria et assoluta inventione.
Giovanni Berchet scrisse una volta:
Come il mar su cui si posa
Sono immensi i guai d'Italia,
Inesausto è il suo dolor. —
ed Aleardo Aleardi augura con cristiana carità al comunista francese di venir deportato in isole lontane:
Dove lo cinga un lutto
Perpetuo come il flutto.
Alessandro Poerio ha detto parlando de' suoi dolorosi tempi:
Nel seno del poeta
Non s'agita il profeta;
Gli è chiuso l'avvenir; —
ed Aleardo Aleardi ripete:
..... E nel poeta
Il profeta morì.
Il Marino disse:
Così dunque cangiar sinistra sorte
Può maniglie in manette? anella in nodi?
Gli aurei monili in ruvide ritorte?
Adone XIV. 299.
[pg!62] Ed Aleardo Aleardi, come abbiam visto, scimmiotta:
Abbiam catene in cambio di smaniglie,
La fune al collo in cambio di monili.
Alessandro Manzoni ha posto in bocca al suo Adelchi certi versi, che lo Adelchi storico ripudierebbe, ma che tutti sanno a mente:
.....