Col fuoco non si scherza. Emilio De Marchi
—Addio, Pomponio Labeone—gridò Flora all'orlo dell'acqua, mentre cercava di allacciare colle mani dietro la nuca quel suo mazzo di bisce infocate dal sole.
La signora Matilde dall'alto del muro faceva addio colla mano indulgente, ancor commossa delle parole che il giovane aveva saputo trovare in fondo al suo cuore.
Quando si volsero per cercar Cresti, non lo trovarono più. Qualche cosa aveva offesa la sua nervosa suscettibilità, al solito; ma il buon Cresti era di quegli uomini che ritornano.
IV.
La Saetta.
Flora Polony non era di quelle bellezze che saltano agli occhi e che fanno dire alla gente che passa;—Guarda che stupenda ragazza! Piuttosto alta e slanciata, la sua persona più vigorosa che ricca sentiva ancor molto lo squilibrio di uno sviluppo affrettato, che i ventidue anni cominciavano appena ora a frenare e a consolidare.
La testa molto alta sul busto, sopra un collo ammirabile per candore e per delicatezza, dominava un po' troppo con quella folta criniera di capelli color del rame, ribelli al pettine, e sempre in aria come le idee della padrona.
La natura sana, solida nei muscoli, flessibile ai cenni d'una volontà piuttosto impaziente, traspariva da quel suo corpo non ancora finito di grande collegiale, dalle lunghe braccia aguzze nei gomiti, dal collo del piede che usciva dalla balzana troppo corta della veste, dai movimenti soldateschi non corretti da nessun'ambizione femminile, anzi peggiorati da un'ingenita pigrizia per tutto ciò che fosse ordine e disciplina. Molto era in lei del colonnello di cavalleria—come soleva dire la zia Vincenzina—che avrebbe voluto vederla più corretta e più pettinata. Ma gli occhi d'un celeste chiaro erano di una bellezza rara e parlante; la voce d'una risonanza metallica aveva nelle parole e nel ridere degli squilli sonori di battaglia, che indicavano uno spirito nato per dire e per fare cose non comuni, che si rifiuta agli effetti volgari come alle regole della moda e del galateo dei salotti, in cui le signore amano sparpagliare più di quanto possono disporre. Ezio, abituato a bellezze più molli e più seducenti, non aveva mai posto mente a quel non so che di insolito e di selvatico, che era nella bellezza intellettuale di Flora; anzi ara uno de' suoi gusti, quando poteva mettere in ridicolo gli angoli e i triangoli sporgenti di questa figura geometrica di ragazzona selvatica, ingenua, ignorante di tutto ciò che forma la forza della civetteria femminile, e a cui si poteva dar a intendere tutto quel che si voleva. Certe spavalderie, che alle amiche villeggianti parevano quasi il frutto di dottrine anarchiche, non erano in Flora che la natura stessa tenuta incolta e innocente da una vita semplice e solitaria.
A ventidue anni, per quanto andava intorno con un gran cappellaccio da pastore e colle scarpe di montagna e con un passo da monello, Flora non conosceva della vita che quanto se ne può capire attraverso ai romanzi inglesi dell'edizione Tauchnitz. Si può essere sicuri che essa non conosceva nemmeno sè stessa: e più sicuri ancora che Ezio, più navigato nelle acque del mondo, sapeva per quanto poteva venderla e comperarla.
Ma noi abbiam detto che il giovinotto era in un momento di raccoglimento spirituale, in un bisogno di vita raccolta, come gli capitava di tempo in tempo, quando la nausea e la stanchezza della vita allegra lo spingevano verso idee di ordine e di riposo.
Il noioso conflitto con Liana, il bisogno che aveva di romperla con questa bellezza noiosa e cretina e di compiere definitivamente i suoi studi, gli facevano parere dolci le ore che passava a Villa Serena e al Castelletto in tranquille occupazioni amministrative, tra i libri e le memorie, nella lettura di vecchie riviste, che gli portavano in ritardo una quantità di notizie e di curiosità a cui nella furia del divertirsi non aveva tempo di fare attenzione.
Flora, creatura sana e intelligente, rivestita di bellezza morale, ritornava in questi momenti a prendere il suo antico posto nello spirito del giovine scapestrato, che nella grazia spirituale e pura di lei risentiva il fascino misterioso che la virtù esercita sempre al di sopra d'ogni altra lusinga, specialmente in chi sa e tocca colla mano di quanta cipria e di quanto belletto sia impastata la bellezza corrotta. Gli occhi di Flora avevano profondità marine: negli occhi di Liana era come guardare nell'acqua scura d'uno stagno. Una risata acuta di Flora saliva al cielo come uno scampanìo a festa; il sorriso fatuo di Liana non usciva dai labbri dipinti. I moti della fanciulla onesta erano l'espressione della forza sana e della volontà potente: le cascaggini flessuose di Liana non erano che le contorsioni della debolezza. Flora era l'aquila o il falco dell'aria; Liana e le sue pari niente di più che delle graziose lucertole.
Questi confronti tornavano, come dico, assai spesso al giudizio del suo pensiero e per quanto egli non fosse abituato ad approfondire la riflessione per non farla pesar troppo sul cuore, tuttavia sentiva che la verità della vita non era che in ciò che essa può avere di buono e di sano. Sentiva nello stesso tempo che in questa patetica convinzione vi poteva essere una trappola e un pericolo; e si propose di stare in guardia contro le seduzioni dei cappelli rossi.
Dopo ch'egli ebbe combattuto con Flora una partita di scherma sul terrazzo del Castelletto, che s'era lasciato ferire da lei, che aveva visto quel profluvio di capelli cascanti sulla sua persona, un fascino nuovo e pericoloso lo accompagnava sempre, come se il fantasma di Flora lo perseguitasse, come se tutto quel rosso gli fosse rimasto troppo impresso nella retina degli occhi.
—Adagio, Biagio!—andava raccomandando a sè stesso—qui non si scherza. Se sdruccioli nella virtù, sei finito per sempre. Peccato che Flora non abbia dieci anni meno! fra dieci anni io avrei potuto rifarmi in lei una soave verginità di cuore. Ma ora no; sarebbe male e per me e per lei… Uccel di bosco, non posso ancora desiderare la gabbia d'oro. La virtù, una volta sposata, è difficile far divorzio. Tu avrai sempre tempo di farti eremita; basta un sospiro a creare un santo. Ma nessuno ti potrebbe compensare della giovinezza perduta, quando ti vedessi già nonno a cinquant'anni.
Belle massime di beato egoismo, direte; ma per il momento egli non ne aveva di migliori. Non pensano forse così tutti coloro che possono far qualche conto sui piaceri della vita?—Il giudizio vien da sè in groppa al tempo senza bisogno di mandarlo a cercare come un chirurgo.—Era anche questa una delle sue massime!
Il caso del povero Bersi che a trent'anni si vedeva condannato al matrimonio e i cento esempi di tristezze coniugali, che nella sua breve esperienza aveva già avuto occasione di conoscere, bastavano a metterlo in guardia contro i falsi gorgheggi di quell'idealismo, che attira i merli per farli poi morire nella rete dei santi doveri, Non gli pareva di aver la barba di un padre di famiglia; quest'idea lo faceva ridere e nello stesso tempo rabbrividire.
Con ciò Ezio non rinunciava ad ammirare en artiste quel che vi poteva essere di bello e di ammirabile nella galleria della virtù, cioè, per stare al caso suo, sentiva di voler bene a Flora, di cui conosceva oltre a qualche singolare prerogativa fisica, il prezioso valore morale, la linea aristocratica, la spontaneità, la freschezza, il profumo d'una rosa non ancor passata in nessuna mano.
Volentieri tornava al Castelletto, andava spesso in barca con lei: o colla scusa di farsi accompagnare in qualche esercizio di violino, la invitava spesso a Villa Serena.
Dal giorno che gli era venuta la buona idea di mettere un poco d'ordine nelle carte del babbo, l'aiuto intelligente di Flora gli era stato preziosissimo. Si voleva dare un assetto nuovo a certe sale, rimovere una libreria, preparare il materiale per una futura pubblicazione: bisognava far passare un mare di carte vecchie, di stampe, di lettere, di giornali: leggere, trascegliere il buono, metter via quel che pareva meno opportuno.
Un giorno tra gli altri, mentre la mamma era in stretta e confidenziale conversazione colla zia Vincenzina nella sala della veranda, Ezio e Flora coll'aiuto di Moschino trascinarono nel corridoio delle stanze superiori un vecchio e pesante baule, non ancora esplorato, che conteneva non so quante centinaia di volumi degli atti ufficiali del Parlamento subalpino. Che se ne doveva fare? abbruciarli era peccato: nè si voleva ingombrar stanze e scaffali con roba fuor di stagione. Ma intanto conveniva far passare quei grossi volumi che potevano contenere note e postille di qualche valore, Da un'ora i due giovani lavoravano con