Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia. Carlo Bianco
città, per quel modo di combattere, gli è capitale. La banda che nel circondario di un villaggio, di una parrocchia prende il campo, in che un numero uguale, o di poco maggiore al suo d'abitanti vi esiste, i quali mangiano, dormono, in somma vivono, e che possono d'alcune armi provvederla, non ha più d'uopo d'altro: non cura la capitale; nè se si sostenga, o sia perduta un micolino gli monta; non pretende da lei nessun soccorso! non essendo la sua esistenza in nulla da quella dipendente; non vede nessun grave detrimento al paese, e di quegl'abitanti si ride che non ebbero nè la forza, nè l'ingegno di respingere i barbari, e colle pive in sacco le spanpanate e millanterie, in tanta viltà, ed umiliazione cambiarono! ed in vece di perdersi di coraggio per ciò, la sua energia del doppio aumenta; così deve succedere quando la guerra è nazionale, e così sempre in quel caso succede; cadde Vienna, Berlino, Parigi, e caddero i loro stati, perchè la guerra in quel tempo non era nazionale; ma ridotta in cenere Moscow, non andò in precipizio la Russia, che anzi la guerra prese un carattere più accanito, il popolo non abbandonò le armi, finattantochè non fù l'invasore compiutamente distrutto, od espulso. Cadde Madrid e precisamente dopo la sua caduta, quella guerra per bande cominciò che varj eserciti francesi distrusse e finì dopo sette anni di sudori e rischi, per averne la meglio i nazionali. Perchè mai dunque tanta differenza da quelle altre, nel resultamento? Perchè queste erano guerre nazionali e quelle no; in queste la capitale era di nessuna importanza pel popolo, che per se stesso combatteva; in quelle ai militari moltissimo rilevava, i quali vedevano nella perdita della capitale la fonte degli ordini, degl'impieghi, dei gradi, delle ricchezze, e dei ciondoli, per loro disseccarsi; epperciò un assai maggior comodo ed individuale vantaggio, nel trattare col nemico, e renderla a patti, trovano, sebbene con la crudele certezza della rovina del loro padrone anzicchè fino alla morte, od alla compiuta distruzione dell'avversario, difenderla. Di nessuna importanza per la guerra nazionale d'insurrezione si è certamente l'esistenza di una capitale, può quella far del bene se sussiste, ma non produce se manca alcun male; di niun danno dunque dovrà essere all'Italia la mancanza, per adesso, di una capitale centrale; potrà dalle tante che possede, se le sono favorevoli qualche vantaggio ricavarne, se poi le saranno avverse, ciò che non è da supporsi, non avrà il condottiero, per la loro caduta nelle mani del nemico, affatto da temere, perchè alla distanza di poche miglia da quella che soggiacque, ne può un'altra che lo ajuti e sostenga, opportunamente ritrovare, con la probabilità che i popoli del circondario di un altro, punto non s'intimidiscano per la disgrazia da quella sofferta. Tale pur era l'andamento della Spagna, nella guerra dell'independenza, giacchè, come ognun sa, è quella penisola un aggregato di tanti piccoli stati, i quali erano anticamente separati ed independenti come gli stati italiani d'oggidì, quasi sempre fra di loro in aperta guerra; e che le loro leggi costumanze, costumi, rimembranze istoriche, odii provinciali, ed il loro spirito d'isolamento, pervicacemente conservarono. Trovavasi Madrid in mezzo alla Spagna, senza quasi nessuna relazione con le altre città, e la sua influenza non estendevasi al di là dei limiti della provincia di Castiglia; credevasi Napoleone di possedere una gran cosa, di tenere tutta la Spagna nelle mani avendo Madrid; ma grande tempo non tardò ad accorgersi del suo falso calcolo, e persuadersi che in nulla il possesso di quella capitale, lo favoriva, perchè sebbene la Navarra, la Biscaglia, le Castiglie, la Gallizia, l'Arragonese, e la Catalogna con molte truppe occupasse; a suo malgrado sù gli occhi stessi di tutti questi eserciti, che avevano il loro gran centro in Madrid, migliaia di bande si misero in campo, e tanto gli molestarono, che disperando Napoleone di poter in sì fatto certame, a che avvezzato per anco non era, luminosi ed immediati risultamenti ottenere, disgustato, lasciò la penisola, dubitoso di perdere, o menomare in quel nuovo modo di combattere, quella gloria ch'erasi fin allora in tante battaglie campali giustamente acquistata, e seguito da poche truppe andossene in Francia. Abbiamo come possa l'Italia, la guerra d'insurrezione per bande sostenere senza una capitale centrale, bastevolmente dimostrato, ma non dimeno se non è questa nel principio della contesa, necessaria, o se anche non è in tutto il corso della guerra per esterminare i nemici, affatto indispensabile, non si può però negare, che sia quella, di una vitale importanza, onde le operazioni generali concentrare non meno, che consolidare ed istabilire l'unione delle varie separate provincie in uno stato solo. Percorrendo le relazioni della guerra dell'independenza, così vedesi, essere in Ispagna successo allo stabilimento della giunta centrale, la quale tanto quella guerra promosse, e rese utile, che per la troppa sua dilatazione, e mancanza di centro, già cominciava a decadere. Maggiore n'è l'importanza, pella Italia, dovendo le varie parti in un corpo solo dopo tanti secoli di separazione unire, per la qual cosa fassi una capitale centrale, vieppiù necessaria, per quello stato formare non men, che dirigere. Già pare di vedere tutti gli abitanti delle attuali numerose nostre capitaluccie italiane, inarcar le ciglia, e gli occhi, e le orecchie attentissimamente aprire, ciascuno sperando e pretendendo che quella dov'egli è nato, per essere capitale della nuova Italia, si proponga; sette ed anche più città della penisola concorrerebbero nella pretensione di essere la capitale, ma siccome una sola è necessaria, sei o più dovranno ad essere secondarie inevitabilmente rassegnarsi; massime poi che queste presuntuose, sono fra tutte le città, quelle che nella massa generale degli elementi di regenerazione italiana, solo pochissimi, deboli, e di tenue vantaggio ne presentano; uno stolto generale goto, altrettanto sozzo, quanto bugiardo, ed alcuni scrittori, mossi o da malvagità o da sciocchezza, osarono sfacciatamente dichiarare non essere cosa possibile, in un solo stato l'Italia riunire, perchè male se ne potrebbe fissare la capitale! Oh svergognati mentitori! oh scipitissimi pecoroni! tacete, anzicchè simili falsità, simili sciocchezze con la vostra solita impudenza palesare! O voi balordi, che in quel modo bestemmiate, perchè non aprite la storia dei vostri antichi padroni? E se l'avete letta, non dovreste in quell'errore inciampare, perchè ben chiaro si vede che l'Italia è stata la padrona del mondo? E che questa aveva una bellissima, gloriosa, venerabile capitale, che tuttavia esiste, e viene giustamente la città eterna nominata? Che l'Italia non abbia capitale, potrete voi ancora di buona fede asserire, quando quella possede, che fù il centro del mondo, delle virtù, del valore, e della gloria? Tutte le stolte pretensioni delle altre capitali, debbono all'aspetto di Roma sparire, dileguarsi! Dove trovasi nel mondo intero, una città che tante eroiche ricordanze presenti, così necessarie ad esser alla memoria della generazione attuale richiamate? Tanti monumenti dell'antica gloria italiana? Tante preziose reliquie di quei sommi che dobbiamo venerare, e porre ogni pensiero, ogni sollecitudine e per degnamente imitare? Qual è quella capitale, che abbia tanto mal fondato, ed impudente orgoglio, per volersi a Roma in un minimo pareggiare? La culla di Bruto, di Cassio, di Catone, di Virgilio, etc., non ha pari, non che in Italia, nel mondo!
Quella fù, e sarà sempre la capitale d'Italia, quando gl'Italiani avranno più in pregio la gloria, che la viltà. Alcuni giustamente ci opporranno, che se quella città merita ad ogni titolo pe' suoi antecedenti, di essere indisputabilmente la capitale, non n'è però degna oggidì, perchè si trova la cloaca massima rigurgitante lordume d'ogni vizio, d'ogni disonestà! e che male per futura capitale dell'Italia unita, independente, e libera, quella si converrebbe, che in realtà, è in oggi la capitale dell'impostura, del raggiro, dell'inganno, fucina delle arti le più prave, e più sottili, per tenere i popoli dalla fisica, morale schiavitù aggiogati, gli abitanti della quale, figli per lo più della depravazione di costumi, cresciuti, e di continuo, alla scuola della viltà, e della servitù educati, non sono, che pei sozzi ed effeminati servigi capaci, e non posseggono le qualità necessarie per essere abitatori della capitale di una guerriera, virtuosa, e forte nazione, perlocchè la sola costanza, perseveranza, e valore, in molte e ripetute disgrazie ch'essi non possono avere, non sono ancora nemmeno bastevoli, ma d'uopo evvi pure di un deciso e grande carattere nazionale, di un giusto orgoglio, e di un odio contro la tirannia interna, dallo straniero armato, con profonda radice bene abbarbicata, le quali virtù non sono, proprie dei papalini abitanti di Roma, che neppur per gabbo vogliamo coll'eroico nome di Romani appellare, noi non potremmo senza mancare alla verità, alle surriferite considerazioni valevolmente opporci, e nessuno potrà negare che la maggior parte della popolazione di Roma sia di calcare quella terra, che senza dubbio è polvere d'eroi, affatto indegna, poichè in mezzo alle mura di quell'antica republica, che non contempla con ammirazione, rimansene schiava ed abbietta. E che per la sua viltà sotto la sferza dei preti, non è più capace di sentire gli stimoli della passata gloria, nè di mirar con orrore la presente vergogna, suscettibile; noi conveniamo. La popolazione è inetta, anzi, al nuovo stabilimento, sarebbe nocevole; ma dovremo noi perciò il vantaggio di avere una capitale che ha un tanto forte,