Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia. Carlo Bianco

Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia - Carlo Bianco


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tentativo, non gli sarà possibile di giungere al termine d'isolare le insorte parti, ed alle loro communicazioni serrare il passo: può inoltre la forma bislunga ed il tanto esteso littorale della nostra penisola bagnato dal Tirreno ed Adriatico, moltissime facilità alle bande procurare, onde in quei punti dove il nemico si trovi più debole di forze, rapidamente trasportarsi, ed all'improvviso arrivandogli addosso, quello sorprendere, e distruggere; utilissima pur anche esser questa situazione potrebbe, onde la fuga di quelle bande che fossero da vicino inseguite, col mezzo dell'imbarco assicurare, e quel sistema di guerra, che di sparire in questo luogo in fronte a forze superiori consiste, per quindi in un altro punto moltiplicarsi, dove si trovino inferiori, può con successo mantenere non meno che agevolare. I numerosi fiumi navigabili, che con le loro sinuosità in ogni direzione il nostro continente attraversano, e le selve che alle sponde di questi, dai monti dove nascono, per le pianure dove corrono, fino alla foce dove congiungonsi col mare, si prolungano, debbono senza dubbio essere, per favorire i movimenti delle bande, convenientissime considerate; come pure, le tanto estese paludi che in molte parti della penisola esistono, nelle quali può un accorto, e destro condottiero, con dimostrazioni e lusinghe il nemico attirare; per quindi dell'immenso vantaggio, di colui che nel proprio paese guerreggia (cioè di tutti ben conoscere i luoghi praticabili di quei lagumi), trarre conveniente profitto; conciossiacchè se da un nemico forestiero che non gli avrà mai veduti od almeno mai praticati, e dei quali non potrà mai esserne perfettamente al fatto, fosse inseguito, se astuto il condottiero lo cosa scaltritamente dirige, dovranno le schiere avverse nel fango affogate senza fallo rimanere. Altri molti argomenti avremmo in appoggio di quanto abbiam detto rispettivamente ad essere la situazione topografica d'Italia la più idonea, ed una delle migliori per la guerra d'insurrezione per bande, se in numerosi particolari spiegativi entrare intendessimo, ma i principali accennati, piucchè sufficienti crediamo, a chiunque in dubbio fosse, sulla territoriale positura del paese, appieno persuadere. La seconda obbiezione quella si è: che nell'inverno sarebbero, le bande sulle nostre montagne, del bisognevole per alla lunga sussistere, scarse, o del tutto mancanti. Egli è vero, che le alte vette delle Alpi sono tutto l'anno di neve coperte, e che sino alle falde, in quella stagione se ne vestono; ma noi a tale obbiezione vittoriosamente opporremo, che i Pirenei trovansi pur anche nello stesso caso, e però le bande che per molti anni tanto in estate, quanto in inverno con somma gloria stettero contro i loro invasori, in armi, non per questo si sottomisero; hanno pure le nostre Alpi una principale, e varie secondarie cordigliere, coi loro contrafforti che in colline finiscono e come speroni di quelle considerare, per la qualcosa non potendosi alla cresta della principal cordigliera mantenere, non ne avviene però, che continuata dimora, non possa una banda in quelle secondarie non meno, che sulle colline stabilire; l'essere poi le Alpi, e l'Appennino di villaggi fino ad una certa altezza seminati, gli abitanti dei quali tutto l'anno rimanendovi prosperi, sani, e robusti si conservano, dovrà chiunque convincere, che se vivono quelli, pure i volontarj delle bande sussistere potranno, e se monti vi sono che o tutto l'anno, o parte di quello, praticare non possansi, poco danno ancora ne sarà alle bande per ridondare, perciocchè se quelle non possono, meno sarà possibile al nemico di mantenersi, con la differenza, che conoscitori i nostri volontarj, del terreno, ed assueffatti all'asprezza dell'atmosfera di quei scabrosi luoghi, tutto in favor loro influirà contro i maledetti, schifosi Tedeschi; e che più difficile a quelle sia, che al nemico, di mancare dell'indispensabile sussistenza, non havvi il minor dubbio, perchè quel poco nei boschi, o campi raccolto, sarà sempre dagli abitanti dei villaggi, coi loro connazionali, coi loro difensori, con quelli che pel popolo combattono, che con lo stomacoso, e lercio straniero, disprezzevole servo, campione della tirannia, con maggior piacere e soddisfazione diviso. Ecco dunque i due problemi che potevano sull'opportunità del sito per condurre la nostra guerra, far titubare, del tutto favorevolmente risoluti.

      Ma chè andiamo noi lambiccandoci il cervello pell'idoneità della superficie d'Italia di mostrare, quando la storia ci fa toccar con mano, che già in certe parti di quella, tal sorta di guerra ad un dipresso si sostenne; di fatti non vediamo noi quei Liguri (come intrepidi e feroci dalle antiche cronache non meno, che da Polibio descritti, non mai sommessi ai Tirreni padroni di quasi tutta l'Italia, nè dai Galli tanto bellicosi soggiogati) avere per ottant'anni continui, col metodo da noi indicato, alla formidabile possanza dei Romani, padroni dell'antica Italia, della Sicilia, d'una parte della Spagna, e delle Gallie ostinatamente resistito? E dove mai fecero tal resistenza? dove si trova un tanto idoneo territorio, per favorire coll'asprezza sua un pugno di valenti, contro i gloriosi eserciti vincitori del mondo? Non sarà certamente a rinvenirsi fuori d'Italia; ecco gli Appennini e i ligustici monti, che ancora fanci dell'antica gloria genovese sovvenire, lo stato dei quali tutta quell'estensione di terreno comprendeva, tra il Pò e l'Appennino esistente; i Genovesi sugl'Appennini, nella parte denominata Lunigiana, e nella Liguria occidentale, in oggi riviera di ponente, sempre in guerra, quasi alla da noi proposta, eguale, con vigore, e successo mantenevansi: tal popolo, dice Tito Livio, al libro trentanove, capitolo primo, era un nemico lesto, ed attivo, che si trovava a tempo, dovunque, che non lasciava ai Romani, nè riposo, nè sicurezza: e Strabone pure, al libro quinto, osserva, che avevano poca cavalleria, ch'erano buoni soldati armati gravemente, ma sopratutto eccellenti alla leggiera: infatti, quegli ottimi valorosi guerrieri, favoriti dalle loro montagnose situazioni, erano dai più numerosi eserciti tanto temuti, che appena osavano quelli ai loro paesi avvicinarsi; e pervenne pur anche la Lunigiana a liberarsi, nell'undecimo secolo dai Barbari, che nella generale invasione d'Italia avevanla soggiogata; i sanniti, attuali abbruzzesi, che tanto nei tempi antichi diedero che fare ai Romani; i Calabresi che nei moderni per molti anni dell'immensa forza del sorgente impero francese, si fecero beffe, oltre tanti, e tanti altri esempi che ancora citar potremmo, tutti l'idoneità del nostro territorio alla guerra di che teniamo ragionamento, assai chiaro confermano. Quanto poi deve il già detto certamente avvalorare, la certezza di fatti, cioè esistenza continua, di tante schiere di banditi che per anni la nostra Italia infestarono, e tuttavia varie parti di quella, ne sono anco in oggi vessate, dimodochè un solo stato in quella, contare non puossi nel quale varie quadriglie di masnadieri, non siansi per lungo tempo mantenute; od attualmente ancor non esistano! Sulle Alpi che dominano il Mondovì, il famoso Michele Mamino per sei o sette anni, contro la gendarmeria, e le numerose colonne mobili francesi spedite a combatterlo si sostenne, aveva egli preso il titolo d'imperatore delle Alpi, e l'autorità sovrana esercitava; facevasi dai villaggi, e fino dalle città circonvicine, puntualmente obbedire; imponeva balzelli, che per paura della sua banda, venivangli a puntino pagati; finchè non cadde per mano d'uno de' suoi compagni da cui fù per tradimento ammazzato. Altra sulle stesse montagne dal ben noto Dragone diretta ebbe pure molti anni di durata, e solo per aver dato alle promesse dei Francesi troppa fede, cessò d'esistere, la non men celebre banda, detta di Narsole: di quanto, grave danno non fù cagione ai francesi che la perseguitavano? E quanti anni non ha essa durato, sebbene altro in realtà non fosse, che una masnada di rubatori che correvano le campagne? e quanti francesi nella Frascea vicino a Pozzuolo, tra Marengo e Novi non caddero, per le mani della quadriglia del rinomato Maïno che per cinque o sei anni esistette? E quella sì fattamente inseguita e temuta: che tanti gendarmi, colonne francesi e dopo il ritorno del tiranno, tanti carabinieri piemontesi distrusse, che sotto la direzione dei due fratelli Bosio, situata sul monte Bracco, alle falde del Monviso dominante il paese di Barge, durò più di dieci anni, e non fù mai possibile di annichilare, se non con la morte data per inganno ad ambi i fratelli da loro stessi parenti, al soldo della polizia sarda! In quanto alle altre parti d'Italia, chi non sa, essere quel territorio, sempre, in ogni dove da tali masnade infestato? Nelle pianure, alle rive dei fiumi, sulle colline, e sulle montagne, trovarsene? La Lombardia, la Toscana, lo Stato Papale, e Napoletano rigurgitarne? Parecchi capi delle quali al punto giunsero di essere quai più famosi briganti d'Europa celebrati? Recentemente un Massaroni nello stato papale, ed i fratelli Verdarello, nello stato di Napoli pochi anni fa, tale celebrità s'acquistarono; i luoghi e le operazioni di quest'ultimi, più specialmente accenneremo, potendosi da quanto venne operato da uno, più o meno il resto agevolmente dedurre.

      Gaetano Verdarello, e due suoi fratelli, nativi della città d'Andria nella Puglia, soldati al servizio di Ferdinando, tiranno di Napoli, quando dalle truppe francesi fuori del regno cacciato, avea in Sicilia la sua dimora stabilita, disertarono, e nel territorio napoletano portatisi, una banda a cavallo, di trenta e sei uomini, quasi tutti disertori, misero tosto in piede: la Puglia Basilicata, gli Abbruzzi, il contado di Molise, e più particolarmente


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