Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia. Carlo Bianco

Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia - Carlo Bianco


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nei secoli antichi per tanto tempo sue schiave, beffeggiata, schernita, e vilipesa mentre i venti millioni d'abitanti che possede, quei pronipoti dei gloriosi romani, oggidì neghittosi, ed abbietti, disuniti, schiavi, abbiosciati, scornati, e di gloria deficienti sono come tanti bamboli dai gabinetti europei, baloccati, aggirati, e delusi.

      Ecco lo stato d'abbiezione, di oppressione, di miseria in che si trovano venti millioni d'abitanti, cui tutti i mezzi per godere i pregi d'una buona vita e passarla felice, la natura in abbondanza provvide; ecco lo straordinario fenomeno, quello cioè di vedere l'ignoranza, rusticità, codardia e sozzura tedesca mettere il genio, valore, entusiasmo, e civilità italiana sotto i lordi suoi piedi...... eppure questo incredibile fenomeno da molti anni pur troppo sussiste, per via della mancanza d'unione, ed energia italiana provegnente dalla continuata serie di calamità alle quali dovette da lungo tempo soggiacere; dall'ignoranza delle sue forze, ad una certa sciocca persuasione che i nemici astutamente cercavano di far nascere, e nella mente dell'italiano alimentavano, cioè quella di non essere da se solo a nulla di buono capace; dalle divisioni fra provincia, e provincia, dai nemici d'Italia a bella posta eccitate, e mantenute; dalle false massime di superiorità provinciale dall'una contro l'altra nutrite; dai vizj, dal troppo amore dei divertimenti, dalle effeminatezze nelle quali erasi la parte pensante della nazione, per mezzo degl'incitamenti con molta finezza messi dai nemici in voga, lasciata trascinare; ecco da dove proviene tutta la vergogna dell'amatissima nostra patria; noi con fiducia nondimeno speriamo, che sieno in oggi tutte le illusioni, e tali cagioni di servitù svanite e riprovate; ci lusinghiamo che il popolo italiano abbia lo stato infame e vile, a che quelle lo ridussero, finalmente conosciuto, che l'opinione di tutti gl'italiani che posseggono un cuore generoso (e non son pochi) sia tutta non men favorevole che ben disposta per l'unione, la independenza e la libertà della penisola; che ognuno sia persuaso essere quel cambiamento una necessità del paese; che ognuno conosca non potervi essere senza quelle, per chi nasce su quel suolo nessuna durevole felicità; questa buona opinione, con fondamento da noi supposta, è certamente lusinghiera, e può essere di grandissimo vantaggio alla patria, ma non già bastevole; il tempo è giunto in che debba il popolo i suoi robusti pensieri con azioni patrie forti e generose accompagnare; quando le ottime idee non sono a fatti accoppiate, inutili divengono, e come se neppure esistessero; egli è pur tempo che dimostri una volta al mondo, non essere gl'Italiani men forti, nè meno sagaci, nè meno virtuosi degli altri popoli che li circondano; che cessi di mormorare in segreto dall'abitudine e dai vizj forte incatenato; che cessi di continuare qual coniglio nella meschinità, e dappocaggine; egli è tempo che conosca la vituperevole mollezza d'animo degl'Italiani dei secoli scorsi, che da quella riconosca la rovina d'Italia, e con odio estremo l'abborisca; egli è tempo infine, che colga la propizia occasione di trarsi dall'aggecchimento, in che si trova, e corra subitamente alle armi con giuramento di quelle non deporre, finchè i nemici stranieri ed interni fino all'ultimo distrutti, non sia pervenuto a stabilire sopra una solida base l'unione, la independenza, e la libertà di quella patria, che fù dalla natura come paradiso del mondo benignamente creata.

       Potrà per avventura un qualche malvagio, od imbecille, quella ingiuriosa obbjezione opporci, che i nemici d'Italia compiacevansi nei secoli scorsi di trombettare, cioè che non fossero gl'Italiani atti alle armi, perchè troppo essendo dalle loro effeminatezze e vizj spossati, erano resi deboli come donne; dovrebbe la voce dell'Europa intiera testimone del valore italiano quest'ingiuria smentire non di rado ancora dagli stranieri al dì d'oggi rinnovata, e sebbene calunniosa, non dimeno dagl'Italiani ben meritata finattantochè non siansi da quel fango della nullità e del vituperio che gl'imbratta interamente, sbruttati; a quest'obbjezione tuttavolta noi risponderemo che le relazioni, e le storie delle guerre da Napoleone in Italia, Germania, Russia, Prussia, Spagna, etc., sostenute, bastano per provarne la inconsistenza, imperciocchè a tutto il mondo fanno palese che quegl'Italiani i quali sotto la grossolana, e bestiale direzione dell'incomportabile Austria, e de' stupidi e maligni loro tiranni, come pecore davanti i Francesi la davano bruttamente a gambe, furono in quelle guerre parte, integrante, e forte dell'esercito napoleonico, possono a giusto titolo fregiarsi degli allori in abbondanza da quelle legioni mietuti, ed erano in ogni rispetto se non migliori, senza dubbio ai loro conquistatori eguali; ma se ci si dicesse che quei prodi sono al giorno d'oggi o già passati ad altra vita, o vecchi troppo per guerreggiare, noi risponderemmo, che forse non saranno i presenti Italiani come quelli tanto usati alle battaglie, perciocchè loro mancò l'opportunità di acquistare sui campi della gloria la necessaria sperienza, ma che non è il valore qualità esotica in Italia e che ben al contrario ella è peculiare della gioventù attuale atta più di qualunque altra ad intraprendere, e sostenere una guerra leggiera, per bande, nella quale affrontando a bella posta con ardire i pericoli, e rendendosegli famigliari, sarà luminosi trionfi per riportarne: continui e difficili combattimenti nelle montagne dai Greci antichi sostenuti, assaissimo contribuirono a renderli poi nelle battaglie campali alla pianura vittoriosi; vinsero primieramente i Barbari, ed i Sciti nelle gole dei monti e quindi appresso in pianura dense nuvole d'Asiatici dissiparono, sui quali non meno una decisa superiorità, che la certezza morale della vittoria, per quanto fosse il loro numero, avevano in quel modo acquistata. Così faranno pure gl'Italiani attuali, cui se forse manca per ora l'arte, non manca certamente il valore, migliaia d'esempi non meno degli antichi tempi, che dei moderni potrebbersi citare, tutti la bravura italiana comprovanti: non meno gagliardi nell'esecuzione, che abili a comandare, e ben dirigere, figurarono essi brillantemente nelle file francesi, ed al buon successo delle conquiste di Napoleone, pure nostro compatriota, perchè nato italiano, assaissimo cooperarono; e di quanti generali ed uffiziali superiori distintissimi, che le pagine della gloria francese illustrarono, quel paese nelle sue produzioni, da più di tutti gli altri, non gli ha per avventura forniti? Non era forse Italiano quel maresciallo Massena, figlio prediletto della vittoria, dopo Napoleone il miglior duce degli eserciti francesi? E i Rusca, i Fresia, i Seras, i La Villa, i Pino, i Lecchi, i Zucchi, i Severoli, Pejri, Eugenio, Mazucchelli, Rossaroli, Russo, etc., e tanti e tanti altri prodi, e valorosi guerrieri, non meno abili, non meno celebri dei migliori generali francesi, che se non sopravvanzarono al certo viddersi, più che del pari all'acquisto della gloria valentemente camminare? Quei sciagurati che per le funeste sconfitte di Rieti e di Novara dovettero all'ingiusta taccia di codardia soggiacere, mentre tutto da mala direzione, e vicendevole invidia dei capi proveniva, non provarono essi tanto in Ispagna, che in Grecia con tratti maravigliosi di uno straordinario valore, non essere di quella nefanda imputazione meritevoli? Pacchiarotti, Brescia, Cepi, Gaddi, Lubrano, Bussi, Arrighi, e trecento altri prodi colleghi che in difesa della libertà di Spagna, carichi di ferite, dando uno stupendo esempio di stoica fortezza sul campo dell'onore combattendo spirarono, non erano essi tutti di quelli che si trovarono in Rieti, od in Novara? E se volgiamo l'occhio alla Grecia, non vediamo noi un Tarella lasciato in abbandono dai Greci al campo di Peta, e per ogni parte dai Turchi furiosamente assalito, far testa con un pugno de' stranieri ad un numero molto maggiore di nemici, non tralasciando la pugna finattantochè non cade sul posto che difende, da mille colpi trafitto? Un Raseri che con mirabile arte la difesa di Missolungi diretta, dopo aver fatto per mezzo di certe mine avvedutamente praticate, saltare parecchie colonne turche in aria, e dopo aver per varie ore il passaggio della breccia contrastato, combattendo da leone, perdè valorosamente la vita! Un Basetti, che mortalmente ferito e dal sangue che scorrendo da molte parti del suo corpo gorgoglia da capo a piedi cosperso, tutta l'energia vitale a se rechiamando, con un incredibile magnanimo sforzo stende ancora prima di spirare, nove Turchi al suolo, compiendo con quell'eroico slancio d'impareggiabile valore, la sua virtuosa e brillante carriera! Un Santa Rosa, che nell'isola di Sfacteria, lasciato solo in fronte ad un numeroso stuolo di nemici, con raro sangue freddo s'arresta, si rivolge ad un suo compagno cui impone di ritirarsi e così soggiunge: Farò in oggi palese al mondo che uno eravi almeno in tutto quest'esercito che non paventava la morte: ciò detto spara un'archibugiata contro il nemico, dal quale viene immediatamente circondato e tagliato a pezzi! Un Pecorara, modello di virtù cittadina, che nello stesso modo abbandonato, combatte solo contro un drappello di nemici che ferisce, e contiene parecchie ore, a cui essendo però alla fine costretto di soggiacere, preferisce alla resa od alla fuga, una gloriosa morte, è la sua testa inviata a Costantinopoli, attesa la pertinacia da lui dimostrata nel combattere ove trovasi qual brillante trofeo, d'indomabile nemico, al serraglio collocata! Un Rittatore che, comandante d'una batteria, da forza maggiore assalito, si lascia tagliar a pezzi sul cannone piuttosto che cederlo, od abbandonarlo? E cento e cento altri


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