La Signorina. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


Скачать книгу
mandato anche un suo libro insieme al bigliettino. Andrò stasera; un po' più presto del solito, per trovarla sola.

      E il povero Nespola?... E i propositi della notte? Il Roero scrive in fretta all'avvocato Olivieri per il funerale del giorno seguente: ed anche il giorno seguente andrà alla ricerca di Lulù.

       Intanto, frenando l'impazienza, egli aspetta che sian suonate le otto e tre quarti prima di varcar la soglia dell'amata. Gli eletti e i prediletti assunti, come il Roero, all'intima comunanza dell'adorazione serale, giungono, quasi sempre, tra le nove e un quarto e le nove e mezzo, partendo dal club o dal Cova, tutti insieme par farsi la guardia l'un l'altro.

      Il giovine poeta fa d'un salto lo scalone con l'ali a' piedi e il cor giocondo, ma appena entrato in anticamera s'impunta e aggrotta le ciglia.

      Dall'attaccapanni, sotto due lucidi cilindri splendenti al gaz, e così uguali che sembrano gemelli, pendono due pellicce, una lunga, una un po' più corta. Stefania non è sola; ha certo avuto a pranzo il Faraggiola e l'Estensi.

      Il Roero, mentre attraversa l'appartamento seguendo i passi del servitore, ha un travaso di bile e di gelosia, col ritorno dei più cattivi pensieri: il duello, il povero Nespola, i suoi rimorsi.

      Egli pensa fra sè, imbronciandosi sempre più:

      — Anche costoro vorranno farmi il processo! Anche donna Stefania e don Giulio Arcolei; anche quel falso inglese del Faraggiola e quel piccolo rogantino dell'Estensi! Ma stasera mi fo sentire!... Per Dio, non ho paura di nessuno!... Se qualche volta mi lascio imporre dalla baronessa Stefania è perchè è una donna... che mi piace! Ma adesso sono stufo, stufo, stufo di tutta questa casa che sente di patchouly e di sacristia! Proprio oggi li ha invitati a pranzo.... senza di me!... E tutti e due, perchè si son coperti di gloria!...

      Povero Nespola!

      — Per di qua, signor cavaliere!...

      Il servitore volta a sinistra e lo fa passare per la lunga fila di stanze che conducono al salottino... delle indisposizioni di Stefania, quello che precede la sua camera da letto.

      — Come?... La baronessa è ammalata?

      — Dopo pranzo s'è sentita poco bene.

      Tale notizia è fonte di nuove inquietudini per il giovine commediografo. Stefania non è mai indisposta, la sera, senza un perchè.... e senza avere una vittima prestabilita.

      Nel salottino, tenuto mezzo al buio dai grandi e fitti paralumi, spiccano accanto al caminetto i bianchi sparati del conte Faraggiola e del marchese Estensi, cioè di Carletto e di Manòlo, come i due testi classici della moda sono chiamati familiarmente alla corte di Stefania e nelle altre corti amiche. Don Giulio Arcolei, in piedi, appoggiate le spalle alla caminiera, spiega loro il nuovo piano regolatore della città di Milano, messo in discussione quel giorno stesso al Consiglio comunale.

      Quando il servitore alza la portiera, don Giulio si volta verso l'uscio, e veduto il Roero gli stende una mano dal suo posto, senza muoversi, e coll'altra gli accenna di non far rumore. Francesco si avanza in punta di piedi, e dopo aver stretta la mano a don Giulio, a Carletto e a Manòlo, cerca, girando gli occhi, la padrona di casa. Essa è sdraiata, tenendosi una mano sugli occhi, sopra una lunga poltrona mezzo nascosta tra la finestra e una piccola scrivania, che luccica ai riflessi della fiamma del caminetto.

      — Donna Stefania non si sente bene?

      Don Giulio sospira:

      — La sua emicrania; ma questa sera è più forte del solito.

      E continua a discorrere, sommessamente, del piano regolatore.

      Francesco Roero, sempre in punta di piedi, si avvicina di alcuni passi a donna Stefania: la bella signora abbassa un momento la mano dagli occhi, sospira flebile, con un gemito, poi, allungandosi, riadagiandosi riprende il primo atteggiamento.

      L'autore di Arianna intende il latino, fa un rispettoso saluto e torna indietro, riavvicinandosi agli altri tre; ma anche lì rimane estraneo alla conversazione, fuori affatto dall'orbita della intimità.

      Don Giulio, che si sfoga e parla in privato a casa sua per tutto il tempo che tace in pubblico, esaurito l'argomento del piano regolatore, comincia quello non meno ripetuto della nuova esposizione nazionale. Carletto e Manòlo ascoltano attentamente, approvando muti, coi cenni del capo, e Francesco Roero, che si aspettava una sfuriata da tutta quella gente, una strapazzata da parte della Fáni, e che si era preparato a rispondere, a difendersi e, occorrendo, ad attaccare a sua volta, dapprima si sente confuso, impacciato e anche intimidito da quell'accoglienza inaspettata, da tutta quell'esagerata indifferenza, da quel silenzio diplomatico. Ma poi, l'irritazione e il suo orgoglio offeso riprendono il sopravvento. Si alza per andarsene e saluta don Giulio con voce forte e risoluta:

      — Vi auguro la buona sera e vi prego di far le mie scuse a donna Stefania. Domattina, se permettete, manderò a prendere le notizie. I due personaggi muti; egli li saluta appena, freddamente, con un cenno del capo e un addio.

      I tre si guardano stupiti, e don Giulio, più di tutti e tre, rimane maravigliato e quasi sconcertato da quella specie di ribellione di uno dei più sommessi adoratori di sua moglie.

      — Ma come?... Non volete aspettare il tè?

      — Grazie. Non sono venuto per fermarmi. Volevo soltanto presentare i miei ossequi a donna Stefania.

      Si ode una vocina lontana, debolissima, che pare un lamento:

      — Signor Roero!...

      Il Roero ha già stretto la mano accomiatandosi da don Giulio. Sentendosi chiamare, si volta e si avvicina lentamente, inchinandosi e salutando, per prendere commiato anche dalla padrona di casa.

      Don Giulio si affretta a ritornare al suo posto presso il caminetto e riprende il discorso, ma adesso a voce un po' più alta, mentre Carletto e Manòlo sembrano ascoltare con sempre crescente attenzione. Nessuno dei tre, finchè dura il colloquio tra Francesco e donna Stefania, spinge mai gli sguardi indiscreti verso l'angolo oscuro dov'è seminascosta la poltrona a sdraio.

      Appena Francesco le è vicino, Stefania bisbiglia sospirando, senza muoversi, senza alzare il capo:

      — Mi sono molto inquietata!... Sapete che mi fa tanto male!... Mio marito è furibondo contro di voi!... Dio mio! Ah, Dio mio!

      Un lungo gemito e una lunga pausa, una forte pressione colle dita alle tempie per attutire lo spasimo.

      — Anche Manòlo e Carletto vi danno torto, molto torto.

      — Sono dolentissimo di sapervi poco bene.

      — Avete ricevuto il mio biglietto?

      — Cioè, il vostro segno.... grafico? Sì. Ho cercato d'indovinare. Volevate dirmi di venire?... Per questo sono venuto.

      — No; volevo dirvi, invece, che non vi capisco.... proprio più.

       — Allora mi sono sbagliato nell'interpretazione.

      La vocina della Fáni si fa più tenera, più flebile:

      — Dite di volermi bene e poi, invece....

      Francesco, sempre in piedi, la guata cogli occhi torvi, le ciglia aggrottate:

      — E poi?... Avanti! Spiegatevi.

      — E poi me lo provate, mettendovi con tanta leggerezza contro di noi. Vi ripeto: non vi capisco proprio più.

      — Non mi capite, appunto, per un equivoco. Perchè dite noi? Io non amo tutta la casa, compresi gli ospiti. Io amo voi, soltanto voi; voi.... al singolare!

      — E ciò che cosa vuol dire?... Che non sapete amare! Siete ancora troppo giovine; non sapete amare! Oh, se mi amaste veramente avreste un po' di amicizia anche per mio marito, così buono, così retto, così giusto! Avreste per lui stima e devozione! Quando si ama una donna, bisogna ricordarsi bene che si devono tutti i riguardi a suo marito.

      — Io, invece, quando amo una donna, odio suo marito e tutti quelli che le fanno la corte.

      


Скачать книгу