Il 1859 da Plombières a Villafranca. Alfredo Panzini

Il 1859 da Plombières a Villafranca - Alfredo Panzini


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odorò il lupo sotto il manto del pastor buono. Preferì il volontario esilio, anzi, come dice il Cattaneo, diè primo all'Italia questa nuova istituzione: l'esilio.

      Se non che quetate le cose d'Europa e d'Italia, fatta in quel generale abbattimento forte e sicura la sorte dei gran Re alleati, e prima già disperso l'esercito italico (è bene non conservare i denti nè anche alle rane), sconfitto a Tolentino l'altro esercito italico di Gioachino Murat, tra Napoleone e l'Europa l'Oceano, l'Austria divenuta arbitra delle sorti d'Italia, potè mostrarsi più schiettamente.

      Signori, dichiarò l'Imperatore austriaco ai professori dell'Università di Pavia, sappiate che io non voglio gente di studio, ma voglio che mi facciate dei sudditi fedeli, devoti a me ed alla mia casa. E buoni vassalli furono avvertiti in segreto di essere i piccoli re, duchi e granduchi, che l'Austria ci riconduceva.

      Oh essi, sì, erano disposti ad essere buoni vassalli! Fu decretato che tutto dovesse tornare come era prima della Rivoluzione e di Napoleone; tutto doveva essere restaurato: restaurate le decrepite ruine feudali. A mano, dunque, l'Austria ce li ricondusse gli amati principi. Ma di che avete paura? Le baionette austriache vi difendono. Egli è là, in mezzo all'Oceano.

      E primo il papa Pio VII. Egli soffrì quasi il martirio per opera di Napoleone: strappato da Roma, deportato in Francia! E i pii vescovi chiusi nel forte di Fenestrelle e costretti a leggere l'empio Voltaire! Oh, i devoti sudditi non lo ricompenseranno mai abbastanza di tante afflizioni! L'Austria riconduce nel regno di Napoli anche Ferdinando Borbone: egli ha mutato nome. Non è più Ferdinando IV, ma I. È più tremante di prima perchè fu lì lì per vedersi soppiantato da Giovacchino Murat. Però i sudditi lo riconosceranno lo stesso. Le macchie di sangue dei grandi morti della Republica Partenopea, non si possono scancellare: non resta che coprirle di nuovo sangue, e quello di Giovacchino Murat sarà pur bello e generoso sangue. Poi verrà il sangue e il tradimento dei costituzionali del Ventuno, chè a tanto obbrobrio lo riserba la sua lunga vecchiezza.

      In Torino a gran festa ritorna Vittorio Emanuele I, con parrucca e spadino come prima che Napoleone lo confinasse in Sardegna. Veste all'antica e le baionette austriache lo circondano. «Sed hastae regis septemtrionis circumdabant eum», come scrisse Santorre di Santarosa. S'industria con l'aiuto di un almanacco del 1793 a rimettere cose e persone come prima. Sventuratamente se si potevano restaurare le cose (diritti di primogenitura, tribunali privilegiati, procedure segrete con torture e tenaglie), non si potevano restaurare gli uomini di prima per la ragione che erano morti. Le nuove generazioni guardavano e sorridevano.

      Tutto come prima, e in fatti il buon Re soleva ripetere che aveva dormito per quindici anni, dichiarazione che può fare il paio con l'altra di Ferdinando IV, cioè che egli non camminerebbe nelle vie aperte dai Francesi. Ma non aveva dormito l'Austria, chè se avesse anche lei dormito, il buon Re non si sarebbe destato sul trono. Oh ma non tutto proprio come prima! l'Austria alla Lombardia che sola possedeva nel secolo XVIII, aggiunse anche il Veneto e Venezia. Venezia era stata la più aristocratica e patriarcale delle Republiche e gran nemica della Republica giacobina francese. Avrebbe dovuto come premio di quella inimicizia e a rigor del principio legittimista essere restaurata, ma o che il nome di republica suonasse male in quell'anno 1815, o che non ci fossero legittimi principi da rimettere sul trono o piuttosto che sembrasse una bella preda agognata fino da antico, l'Austria fece proprio come Napoleone, si prese Venezia per sè. Così abituato alla docilità quel popolo di Venezia! I suoi carnevali e le sue sagre gli saranno conservati. Anche si prese la Valtellina, la quale, insieme al Friuli, cioè dall'Isonzo all'Adda, congiungeva le provincie italiane a quelle austriache direttamente, mentre nel secolo XVIII la Lombardia era separata dall'Austria per mezzo della republica dei Grigioni. Avrebbe altresì l'Austria desiderato di annettere anche le legazioni, cioè le quattro provincie di Ferrara, Bologna, Ravenna, Forlì. Così belle, così ubertose! Presidiarle, almeno! E infatti le presidiò quasi sempre sino alla primavera del 1859. D'altra parte si passava così bene per quella magnifica antica via Emilia, tracciata dal genio di Roma, ove corsero le legioni e le aquile di Mario e di Cesare! Inoltre si passava per terre amiche dell'Austria, perchè il bel ducato di Parma, Piacenza, Guastalla era stato dato a conforto della sua vedovanza a Maria Luisa, austriaca; si passava per il bel piano di Modena e Reggio, ridente di ubertà, che era stato dato a Francesco IV da Este, nome italiano e glorioso, ma sangue austriaco, ambizione e orgoglio austriaco: era cugino e cognato dell'imperatore d'Austria. Di lì si poteva ben passare in Toscana, che era stata ridata a Ferdinando IV, austriaco, che si apprestava ad applicare ai suoi popoli la cura del papavero chè già «il mondo va da sè», come assicurava un suo acuto e italicamente scettico ministro, il Fossombroni.

      Stati amici e Stati «reversibili» all'Austria. Tanto amici che si risparmiano loro le spese dei soldati. Ci pensa l'Austria. Di soldati ne ha tanti l'Austria: quanti ne volete. Anche se non volete, verranno i soldati dell'Austria. Appena il gallo canterà ai dormienti nell'alba chiara, l'Austria manderà i suoi soldati dalle quattro fortezze di Mantova, Verona, Legnago, Peschiera, già che lo disse anche Dante:

      Peschiera bello e forte arnese.

      Dopo ciò quale meraviglia (io non dirò le sette Carbonare e Massoniche pullulanti in quegli anni) se un plenipotenziario inglese, lord Castlereagh, reduce dal congresso di Vienna, ove questi paterni Re si erano adunati a congresso, ci parla di «mercato dei popoli» fatto in Italia? Se un cardinale, il Consalvi, vagheggia una setta segreta contro l'invadenza austriaca? Se lo stesso Giuseppe De Maistre, il poeta mistico della Santa Alleanza e della forca, onora l'Italia della sua compassione? Oh non mai tanto oltraggio era stato fatto ad un popolo!

      Potè l'Italia essere stata saccheggiata, lacera, corsa, più schiava, più afflitta, ma più oltraggiata, più schiaffeggiata con profumata mano, no! Sentirono gli Italiani questo mercato, questo oltraggio? Sì, lo sentirono quando il laccio al collo era ben stato messo e con un sintomo terribile che montò alla gola di quelli stessi che avevano invocato sei anni prima il ritorno di Astrea: il soffocamento, l'assorbimento. L'Austria stessa ci obbligò a reagire, a spezzare quel laccio se volevamo vivere.

       Non tutto però come prima: non soltanto perchè non si volle, ma essenzialmente perchè con tutto il buon volere di un Metternich, con tutti gli sforzi del sofisma di un De Maistre, con tutto il misticismo dei gesuiti fioriti accanto ai troni, non si potè. Non si potè per la semplice forza delle cose. Le antiche corone videro l'impossibilità di rinnovellare la consacrazione se non col beneplacito dei popoli. Si desiderò, e in buona fede da molti, di restaurare i patriarcali governi di una volta, il patronato delle caste privilegiate come in antico: ma non fu più possibile. Il passato era morto per sempre! Ai popoli ai quali si erano voluti togliere i beneficî degli ordinamenti democratici, non fu possibile ridonare un'altra volta i beneficî dell'antico stato di servitù. Anzi gli stessi governi assoluti, prima l'Austria, che non volevano a nessun patto camminare per le vie aperte dalla Francia, furono costretti non solo a camminarvi, ma conservarono ciò che di meno desiderabile produssero la Rivoluzione e Napoleone: l'accentramento e la tirannide burocratica, la coscrizione, gli eserciti stanziali, e infine la gravezza dei tributi.

      Sotto questo anacronismo si sfasciò la lega dei Re. La libertà non è dono della rivoluzione, ma è dono di natura. I trattati del '15 violarono questa legge di natura.

      Ma per ciò che riguarda l'Italia, essa, soggetta ad uno speciale inasprimento da parte dell'Austria, ha una storia sua propria. Questa vetusta madre delle genti fu qualificata «come popolo infante, che essa, l'Austria, durava gran fatica a educare alla sapienza germanica» chiosa il Cattaneo; e la ribellione si formò spontanea e fu soprattutto ribellione di aristocrazia e di intelligenza.

      Un patrizio un giorno trovò che con tutti i suoi privilegi di casta, non poteva respirare e disse: «No!» Alle frivole spose danzanti con usseri damerini, alle insensate matrone ciancianti con decrepiti marescialli, stette dinanzi la testa terribile di un loro pari, già presso al patibolo: Federico Confalonieri.

      Ai buoni popoli addormentati nel queto vivere e nel bel mangiare, un poeta, come Dante i commutati in mostri della bolgia ottava, così il Berchet presenta i figli del popolo sotto la metamorfosi orrenda, come simbolo di una metamorfosi dell'anima nostra.

      Ha bianco il vestito,

      Ha il mirto al cimiero,

      I


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